Ora c’è l’ufficialità, l’Iran rimarrà in Siria molto a lungo. Ufficialmente per aiutare Damasco nella ricostruzione e per garantire la sicurezza, in realtà per garantire a Teheran il mantenimento del cosiddetto “corridoio sciita” e per fare in modo che l’Iran e i suoi alleati di Hezbollah possano preparare in tutta calma il loro attacco a Israele.
L’accordo firmato ieri dal ministro della difesa iraniano, Amir Hatami, e dal suo omologo siriano, Ali Abdullah Ayoub, viene definito “dettagliato e circostanziato” e punta a mettere in sicurezza la presenza iraniana e dei suoi alleati in Siria dagli attacchi preventivi israeliani, almeno sotto l’aspetto legale e del Diritto Internazionale.
«La presenza delle forze iraniane in Siria è frutto di un accordo che nasce da una specifica richiesta siriana e nessuno quindi ha il Diritto di esprimere un’opinione su di esso» afferma perentorio il Ministro della Difesa iraniano, Amir Hatami, in una intervista rilasciata ieri sera al canale satellitare Al Mayadeen con sede in Libano e vicino a Hezbollah. Poi, con riferimento alle minacce israeliane e parlando quasi a nome del regime siriano, afferma che «il governo siriano e i suoi alleati sono pronti a rispondere a qualsiasi attacco. Le relazioni iraniano-siriane non sono mai state così forti e amichevoli e la cooperazione tra Siria e Iran è più forte che mai».
Un boccone avvelenato servito con la complicità di Putin
E’ un boccone avvelenato quello servito da Iran e Siria a Israele, un boccone avvelenato che però non poteva essere servito senza la complicità di Putin il quale sembrava fungesse da garante affinché le truppe iraniane non si stabilissero in pianta stabile in Iran. Una illusione che probabilmente ha abbagliato anche il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, che contava molto sulla mediazione della Russia. Un errore di valutazione che ora cambia radicalmente lo scenario.
Nell’accordo firmato ieri infatti c’è una clausola all’apparenza innocua, persino dal sapore quasi umanitario, quella che prevede la «ricostruzione dell’esercito siriano e delle potenzialità siriane di costruire armi per l’autodifesa con l’aiuto delle forze militari iraniane», che tradotto in parole povere significa che Teheran ha intenzione di costruire fabbriche di armi in Siria, di armare l’esercito siriano e di dotarlo di missili e sistemi d’arma aggiornati. Si tratta del superamento di una delle più importanti linee rosse elencate da Netanyahu e che il Premier israeliano si è impegnato a far rispettare anche a costo di ulteriori attacchi in territorio siriano.
In sostanza si tratta di una sfida aperta a Israele che ora si trova nella condizione di non poter permettere da un lato all’Iran di posizionarsi in Siria e di costruire fabbriche di armi, ma allo stesso tempo di non poterlo impedire con attacchi preventivi e mirati a causa di quell’accordo che a livello di Diritto Internazionale non fa una piega e che in caso di attacco israeliano in Siria permetterebbe agli Ayatollah di reagire con la copertura della legge internazionale e probabilmente della Russia.
Le reazioni israeliane
Al momento da Gerusalemme tutto tace. Putin ha fatto palesemente il doppio gioco sulla presenza iraniana in Siria e Israele è caduto nel trabocchetto. Questo appare evidente. Di sicuro non sarà un accordo tra Siria e Iran a fermare i caccia israeliani che hanno il compito di impedire che Teheran costruisca armi in Siria o che oltre a rifornire di armi gli Hezbollah si stabilisca permanentemente in Siria. Ma ora quell’accordo tra Putin e Netanyahu che permetteva a Israele di vigilare sulle mosse iraniane e di intervenire all’occorrenza è chiaramente superato da questo nuovo accordo tra Siria e Iran che, ricordiamolo, non può essere stato siglato senza il beneplacito di Mosca. Quindi tutto diventa più difficile per Israele.
Quali saranno le contromosse di Israele lo vedremo nei prossimi giorni o settimane. Per ora si registrano solo “missioni diplomatiche” non ufficiali negli Stati Uniti e in Russia, scambi di opinioni tra intelligence e tra diplomatici volte a superare questo ostacolo non di poco conto che in caso di attacco preventivo israeliano i Siria potrebbe porre lo Stato Ebraico in una posizione “antipatica” rispetto al Diritto Internazionale. Ma quella di Israele è una sfida esistenziale e non sarà certo un “contratto” a fermare i caccia con la Stella di David.
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