Siamo talmente impegnati a seguire le vicende siriane e la finta democratizzazione iraniana di Hassan Rohani che non ci rendiamo conto che in Iraq è in corso armai da anni una vera e propria guerra civile dove, ancora una volta, a essere protagonista e Teheran.
Oltre 600 morti dall’inizio del mese di ottobre, gli ultimi ieri in due devastanti attentati, migliaia di morti negli ultimi due anni, non sono numeri di un “conflitto confessionale” come qualcuno lo chiama, sono numeri da guerra civile.
Le forze in campo sono le stesse che stanno devastando la Siria ma a numeri invertiti. Da un lato un regime sciita filo-iraniano, dall’altra le opposizioni sunnite. L’unica differenza è sta proprio nei numeri che in Siria vedono gli sciiti in minoranza mentre in Iraq sono la stragrande maggioranza. Per il resto è quasi tutto uguale, dico quasi perché proprio la stragrande maggioranza sciita in Iraq evita per il momento che i sunniti scatenino un vera e propria guerra.
Anche le potenze che stanno dietro al conflitto in Iraq sono le stesse che stanno dietro a quello siriano. Il regime filo-iraniano guidato dal Primo Ministro Nuri al-Maliki (presidente Jalal Talabani) è sostenuto apertamente dall’Iran, sia a livello finanziario che militare. Le opposizioni sunnite sono armate e finanziate da Arabia Saudita e Qatar.
Qualcuno crede che in Iraq le cose non degenereranno come è avvenuto in Siria ma sia il numero di morti che l’escalation a cui si è assistito negli ultimi mesi ci dicono esattamente il contrario. Le forze sunnite, sebbene in minoranza, sono molto ben finanziate, armate e addestrate dai Paesi arabi e ben presto passeranno dagli attacchi suicidi alla guerriglia vera e propria, per altro già in corso in alcune aree del nord iracheno.
L’unica incognita sono i curdi del Kurdistan semi-autonomo che non amano molto il governo filo-iraniano di al-Maliki ma che amano meno ancora l’integralismo islamico dei sunniti. Loro potrebbero essere veramente l’ago della bilancia, quello che potrebbe da un lato fermare la trasformazione del conflitto settario in guerra civile aperta, mentre dell’altro, nel caso di conflitto aperto con il Governo centrale per le risorse petrolifere di cui il Kurdistan dispone in abbondanza, potrebbero scatenare un vero e proprio conflitto.
In tutto questo stona l’assoluto disinteresse della comunità internazionale, per altro ampiamente responsabile dell’attuale situazione in Iraq, un silenzio che ricorda tanto l’indifferenza durata quasi tre anni sulla guerra civile in Siria. Eppure l’Iraq non è uno staterello ininfluente, non è qualcosa di cui ci si possa disinteressare e lasciare al proprio destino. Ma loro, la comunità internazionale con Kerry e la Ashton in testa, preferiscono concentrarsi sulla ininfluente questione palestinese piuttosto che dedicare la giusta attenzione su quello che sta avvenendo in Iraq. Che dire? La diplomazia internazionale non era mai arrivata così in basso come negli ultimi anni e con l’Iraq (dopo la Siria) rischia veramente di toccare il fondo del barile.
Adrian Niscemi