Ieri è arrivata la notizia che in Iran era stata giustiziata Zeinab Sekaanvand, la ragazza 24enne che quando aveva solo 17 anni aveva ucciso l’uomo che era stata costretta a sposare e che la sottoponeva a indicibili soprusi. Oggi arriva la notizia che ISIS ha giustiziato Tharwat Abou Ammar, una ragazza 25enne drusa rapita dai terroristi negli attacchi dello corso 25 luglio contro la comunità drusa siriana.
Non sono notizie importanti, non sono notizie che attirano like e apparentemente non hanno alcun collegamento tra di loro. La prima era una sposa bambina, come ce ne sono a milioni nel mondo islamico, che per legittima difesa aveva ucciso l’uomo che aveva abusato di lei, la seconda era una ragazza drusa rapita da ISIS insieme ad altre 30 persone dopo una operazione militare mirata a colpire la comunità drusa in Siria. Eppure queste due notizie hanno un comun denominatore che troppo spesso in occidente dimentichiamo o facciamo finta di non vedere: la condizione della donna nel mondo islamico.
In occidente ci si focalizza ancora sul velo islamico o sulle donne costrette a portare il burqa quando a focalizzare l’attenzione dovrebbero essere ben altri fattori più gravi, a partire dal gran numero di bambine, anche piccolissime, costrette a sposare uomini non di rado anche di età avanzata, costrette a subire le loro attenzioni e le loro violenze nel momento in cui dovessero rifiutare tali attenzioni. E cosa dire della facilità con la quale le donne vengono giustiziate nel caso in cui si ribellino a tali dogmi islamici. Il caso di Zeinab Sekaanvand lo dimostra. Un processo farsa e senza difesa e poi l’esecuzione per ribadire con chiarezza che la donna islamica non si può ribellare e che non ha gli stessi Diritti dell’uomo, che una donna nell’islam non è un essere umano alla pari degli uomini ma che è un essere inferiore, spesso trattato come un oggetto sessuale e che come tale deve comportarsi.
Non molto diversa è la motivazione dell’esecuzione di Tharwat Abou Ammar, giustiziata perché si rifiutava di continuare ad essere stuprata dai terroristi islamici, uccisa perché non voleva più essere un oggetto sessuale. Bisognava mandare un segnale sul fatto che una donna nell’Islam non può ribellarsi ai voleri e alle voglie degli uomini.
Il velo islamico, il burqa, sono solo la punta dell’iceberg. La condizione della donna nel mondo islamico peggiora invece di migliorare e quando parlo di mondo islamico intendo anche quella parte di Islam che vive in occidente. Ne parleremo dettagliatamente in un rapporto che produrremo le prossime settimane. Ma oggi ci interessa evidenziare come in occidente la condizione della donna nel mondo islamico non venga minimamente considerata anche nei rapporti con quegli stati che questi abusi li permettono per legge, come l’Iran, l’Arabia Saudita, l’Afghanistan, il Pakistan e tutti gli altri. Di introdurre la pretesa del rispetto dei Diritti Umani nei rapporti con questi stati nessuno ne parla, nessuno ne vuol sentir parlare. E se provi a ricordare alle istituzioni che questo non è tollerabile ti rispondono che la tua è islamofobia e non una legittima pretesa.
Oggi come non mai l’occidente ha il dovere di rivedere i proprio rapporti con il Mondo islamico e di condizionare tali rapporti al rispetto dei Diritti Umani, specialmente in un momento in cui l’Islam è in forte espansione proprio in occidente. E per farlo non sarebbe sbagliato partire proprio dalla condizione della donna nel mondo islamico, anche in quella parte di Islam che vive in occidente, un occidente che non può continuare a posporre i Diritti Umani ai rapporti con l’Islam.
Una piccola nota a margine: non abbiamo sentito una sola voce di protesta né dal mondo femminista né dalle istituzioni europee sull’esecuzione di Zeinab Sekaanvand avvenuta in Iran. Solo Amnesty ne ha scritto qualcosa, per il resto silenzio di tomba. Perché?