La vita degli ostaggi e la sopravvivenza di Hamas o la guerra fino in fondo?

Da questa difficile decisione non si torna indietro, o si salvano gli ostaggi salvando anche Hamas e perdendo di deterrenza, oppure si va fino in fondo consapevoli che probabilmente si perderanno gli ostaggi
2 Giugno 2024
accordo sugli ostaggi

Andando oltre i ragionamenti politici che non mi appartengono, la scelta che oggi si trova di fronte il governo israeliano nell’affrontare la proposta americana di cessate il fuoco è chiara e lampante: deve decidere tra la sopravvivenza degli ostaggi, i pochi rimasti in vita, e quella di Hamas.

Perché una cosa è lapalissiana, il piano americano così com’è concepito significa dare ad Hamas la possibilità di sopravvivere, significa dire che le distruzioni e le migliaia di vittime non sono servite quasi a nulla. Significa ammettere da parte israeliana il fallimento.

D’altro canto il piano americano sembra essere l’unico modo per riportare a casa i pochi ostaggi rimasti in vita, significa sottrarre le giovani ragazze alle torture alle quali sono state sottoposte in questi mesi e delle quali vi sono testimonianze davvero raccapriccianti.

Va ammesso sinceramente che la scelta è una di quelle che fanno tremare i polsi. Il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, si trova davanti ad una scelta non facile, né umanamente né politicamente.

Può accettare il piano americano, riportare a casa gli ostaggi ma ammettere la sconfitta e probabilmente rinunciare per sempre ad un ruolo politico. Le destre estreme hanno già detto che faranno cadere il governo se Netanyahu accetterà il piano proposto da Washington.

Ma non accettare quel piano significa probabilmente condannare a morte gli ostaggi rimasti, forse una quarantina in prevalenza ragazze, soldatesse e militari.

Ieri sera a Tel Aviv una folla di 120.000 persone ha chiesto al Governo di accettare quel piano oltre a chiedere elezioni anticipate. Ma Netanyahu ha ribadito che non ci sarà un cessate il fuoco permanente senza la completa eliminazione militare e politica di Hamas.

Non mi è ancora ben chiaro se quel piano è israeliano – come affermano a Washington – né chi lo ha concepito. Come non mi è chiaro cosa farà da oggi Benny Gantz dato che proprio oggi scade il suo ultimatum al Premier per la presentazione di un piano per il dopoguerra che non preveda l’occupazione permanente della Striscia di Gaza. L’unica cosa che sembra essere chiara è che forse siamo di fronte alla decisione definitiva sugli ostaggi e sulla guerra. Qualsiasi decisione prenda Netanyahu non potrà più tornare indietro.

Il fronte nord troppo in fretta dimenticato

Nel prendere la sua decisione il Premier israeliano non potrà non tenere conto dell’altro fronte militare, quello a nord con Hezbollah.

Se ne parla poco ma dal 7 ottobre è stato uno stillicidio di missili. Sempre pochi, quel tanto che basta per provocare l’esodo della popolazione, quello che serve per far spendere risorse finanziarie e militari a Israele, ma non troppo da spingere Gerusalemme ad aprire un fronte nord.

Ma la guerra di Gaza ha intaccato seriamente le riserve israeliane. Se domani Hezbollah dovesse decidere di attaccare pesantemente Israele non so se lo Stato Ebraico avrebbe le sue difese alla massima potenza, cioè quello che ci vuole per affrontare Hezbollah che è ben altra cosa da Hamas.

E se l’epilogo della guerra con Hamas dovesse essere veramente quello che vorrebbero a Washington, beh… allora si che Hezbollah si sentirebbe legittimato ad attaccare Israele che perderebbe notevolmente di deterrenza.

Sia a Gerusalemme che a Washington non possono non fare questi calcoli come non possono non pensare che tra pochi mesi in America ci saranno le votazioni e che nessun Presidente in scadenza di mandato inizierà un conflitto armato, nemmeno per difendere Israele. Il problema è che lo sanno anche a Beirut e a Teheran.

Concludendo, oggi Israele si trova davanti ad uno dei dilemmi più gravi della sua storia, deve decidere se mettere fine definitivamente al terrore di Hamas perdendo probabilmente gli ostaggi, oppure deve accettare una mezza vittoria (o una mezza sconfitta, a seconda da che lato la si guardi) riportando a casa gli ostaggi ma perdendo quello che fino ad oggi era la sua arma migliore, la deterrenza militare.

Franco Londei

Esperto di Diritti Umani, Diritto internazionale e cooperazione allo sviluppo. Per molti anni ha seguito gli italiani incarcerati o sequestrati all’estero. Fondatore di Rights Reporter

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