Il Medio Oriente non avrebbe certamente bisogno di veder accendere un’altra miccia potenzialmente devastante, ma tra Libano e Israele sta crescendo la tensione a causa di un tratto di mare ricchissimo di gas che si trova proprio tra i due Paesi e che viene rivendicato da tutti e due. Il Presidente del Parlamento libanese ha parlato addirittura di “atto di guerra” e si è rivolto all’Onu per chiedere la tutela dei confini libanesi.

Il tratto di mare conteso

Motivo del contendere è un tratto di mare di 860 Km quadrati a cavallo tra i due Paesi che secondo le stime contiene riserve di gas e di altri materiali in grado di dare un profitto pari a circa 600 miliardi di dollari. In mancanza di confini ben delineati Israele legifera anche su quel tratto di mare come se fosse sotto la sua autorità mentre il Libano contesta questa equazione e senza tanti giri di parole parla di “aggressione alla sovranità libanese” e paragona il fatto al conflitto per le Fattorie di Shebaa e alla occupazione del Golan. Tutto nasce da una proposta attualmente in discussione alla Knesset (il Parlamento israeliano) nella quale il tratto di mare conteso viene considerato di pertinenza israeliana e ne stabilisce le modalità di sfruttamento e di concessione. Solo che sullo stesso tratto di mare il Libano ha pubblicato un gara d’appalto per l’esplorazione e per lo sfruttamento.

Cosa dice il Diritto Internazionale

In una situazione del genere il Diritto Internazionale non specifica nulla di preciso salvo consigliare ai Paesi confinanti di trovare una soluzione bonaria e negoziata che viene identificata in una “soluzione equa”, che tradotto significa trovare una soluzione che attribuisca ad ognuno il 50% del tratto di mare conteso. Il problema è che Libano e Israele sono formalmente in guerra e non hanno alcun contatto tra di loro, per cui ognuno legifera a proprio piacimento ed ogni trattativa “bonaria e negoziata” appare al momento esclusa. Come detto, il Presidente del Parlamento libanese Nabih Berri ha parlato di “atto di guerra” da parte di Israele e ha richiesto con urgenza un intervento delle Nazioni Unite accusando lo Stato Ebraico di “invadere il mare di proprietà libanese”. Ma, a parte che sulla neutralità dell’Onu ci sarebbe parecchio da ridire, l’attuale situazione tra i due paesi aggravata dal fatto che recentemente il Libano ha deciso di considerare Hezbollah come un elemento funzionale alla difesa del Libano, non consente in nessun modo alle Nazioni Unite di essere parte di questa diatriba. In una dichiarazione rilasciata ai media libanesi il Presidente del Parlamento libanese ha detto che «questa sarà la guerra per le Fattorie di Shebaa e per il Golan in mare» aggiungendo che «la situazione è molto pericolosa».

I rischi di una escalation

A sostegno del Libano si sono subito schierati gli Hezbollah e soprattutto l’Iran. Ormai il Paese dei Cedri è a tutti gli effetti una provincia iraniana e ogni cosa che tocca gli interessi libanesi automaticamente tocca quelli di Teheran. La situazione tra Israele e Iran è già tesa a causa della massiccia presenza militare iraniana in Siria e di gruppi terroristici legati a Teheran sul Golan. Questa guerra per il gas rischia quindi di far impennare improvvisamente la tensione e di aggiungere un motivo economico a quelli già presenti legati all’odio verso Israele che alimentano le tensioni tra il Libano e l’Iran da un lato(compreso Hezbollah) e lo Stato Ebraico dall’altro. In questo contesto rientra il gravissimo episodio del riconoscimento formale da parte del Governo libanese di Hezbollah come “parte del sistema difensivo” del Libano, una decisione che avrebbe dovuto allarmare tutto il mondo civile ma che invece non solo è passata sottobanco ma non ha visto nessun commento da parte né dei leader occidentali né di quelli arabi che pure non amano Hezbollah. Questa apatia internazionale verso la politica espansionistica iraniana, di cui il Libano è parte integrante, rischia di spingere gli Ayatollah a schiacciare il piede sull’acceleratore di una escalation e la guerra del gas che per ora è tutta diplomatica rischia di trasformarsi nell’ennesimo pretesto per attaccare militarmente Israele.