Che la minaccia islamica si trasferisse dal Medio Oriente all’Africa gli esperti di intelligence lo avevano già previsto nel 2016. Tuttavia nonostante le fosche previsioni in questi due anni si è fatto ben poco per impedirlo.
L’unica che si è mossa in modo appena coerente con il rischio è stata la Francia che però ne ha pagato le conseguenze con attentati in suolo francese e in Africa dove le truppe francesi sono intervenute per arginare lo jihadismo africano. L’ultimo attentato in ordine di tempo quello avvenuto ieri in Burkina Faso dove gli jihadisti hanno preso di mira l’ambasciata francese e altri luoghi simbolo provocando la morte di almeno 28 persone.
Centinaia di milioni dai Paesi arabi e dalla Turchia
Già nel 2016 le intelligence occidentali segnalavano un enorme flusso di denaro dai Paesi Arabi verso l’Africa, in particolare verso l’Africa occidentale, denaro destinato non solo a fare proselitismo ma a creare una struttura di moschee e centri islamici dove insegnare agli africani l’Islam più estremista, che sia quello wahhabita finanziato dai sauditi e dai Paesi del Golfo, o che sia quello legato alla Fratellanza Musulmana e a ISIS finanziato dal Qatar e dalla Turchia, quest’ultima molto attiva anche in Somalia dove addirittura ha inviato un contingente militare ufficialmente per proteggere le “operazioni umanitarie”.
Una guerra nella guerra
Da molti anni i fautori della Jihad globale hanno individuato nel continente africano un enorme bacino di possibili adepti. Le moschee in Africa occidentale e in Africa centrale, soprattutto in Uganda, sono moltiplicate. I centri islamici e le scuole coraniche hanno preso gradualmente il posto delle missioni cristiane e sono arrivate a coprire persino quelle zone rurali che fino a qualche anno fa erano prerogativa dei missionari cristiani, soprattutto comboniani. Le conversioni dal cristianesimo all’Islam, anche grazie alla teologia del container, si sono centuplicate. L’enorme flusso di denaro proveniente dai Paesi Arabi permette ai “missionari islamici” di sfamare i “nuovi convertiti” e garantire loro anche una qualche forma di sviluppo. Ma non è più una battaglia tra islam e cristianesimo, ormai è diventata una battaglia tra wahhabismo e Fratellanza Musulmana (e ISIS), una guerra nella guerra per la conquista di territorio e di possibili fedeli/adepti, una guerra per la supremazia che sempre più spesso sfocia in grandi attentati.
Ma il vero obiettivo non è l’Africa, è sempre l’occidente
Ma il vero obiettivo di questa islamizzazione dell’Africa non è tanto il continente nero e le popolazioni africane. I teologi islamici hanno capito che possono sfruttare l’enorme flusso migratorio verso l’occidente per infiltralo indirettamente come non sarebbero mai riusciti a fare in maniera diretta. E non lo hanno capito da ora, sono anni che ci lavorano tanto che ormai sarà quasi impossibile arginare il fenomeno. Basta guardare alla percentuale di fedeli musulmani tra i migranti per rendersene perfettamente conto.
Politiche di contenimento praticamente inesistenti
Nonostante gli esperti occidentali da diversi anni avvisino del pericolo e raccolgano sempre più elementi che provano il fatto che ci troviamo di fronte a una vera e propria strategia di proselitismo globale e di infiltrazione dell’occidente, nessuna politica di contenimento è stata messa in atto dai governi occidentali, anzi, nel corso del tempo si è fatta strada quella politica dell’accoglienza sulla quale puntavano proprio i teologi islamici dei Paesi del Golfo. Insomma, stiamo facendo esattamente quello che wahhabiti e Fratelli Musulmani si aspettavano che facessimo. Abbiamo dato per perso il continente africano (soprattutto la chiesa cattolica) e ci apprestiamo a perdere anche il vecchio continente, afflitti come siamo dalla sindrome da accoglienza incontrollata.
Cosa fare?
Arrivati a questo punto è molto difficile tornare indietro, c’è il rischio che decine di migliaia di persone innocenti si ritrovino presi tra incudine e martello. Ci contavano i teologi islamici e soprattutto contavano sul nostro concetto di Diritti Umani che ci avrebbe spinti verso questa forma di accoglienza di massa. Il primo passo da fare è quindi quello di bloccare in Africa i flussi migratori ma occorre farlo seriamente e con ogni garanzia di salvaguardia dei Diritti Umani. I centri di smistamento in Libia sono un primo passo ma non garantiscono il rispetto dei Diritti Umani. Servono centri più a sud del nord Africa gestiti da agenzie dell’Onu che usino parametri rigorosi nello stabilire chi è un semplice migrante economico e chi invece ha Diritto alla protezione internazionale. Ma è importante che siano l’Onu o agenzie statali predisposte a farlo, non associazioni o ONG. Questo per due motivi: va eliminato alla radice il rischio che il fenomeno delle migrazioni continui a essere un lucroso business e, secondo ma non meno importante, va controllato con la massima attenzione che in Europa non entrino jihadisti o estremisti. Insomma, dobbiamo togliere il “giocattolo Africa” dalle mani degli jihadisti.
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