Di Emanuel Segre Amar – Gentile Professore, ho letto con molta attenzione l’articolo pubblicato con la sua firma sul Messaggero del 22 u.s.. Spero che non me ne vorrà se le faccio giungere alcune osservazioni, assicurandole comunque che sono a sua disposizione per un colloquio qualora volesse approfondire alcuni argomenti.
– Lei scrive di un “indebolimento della lista di Netanyahu”, ma sarebbe stato più corretto affermare che, a causa degli incrementi di seggi di molte liste minori, entrambe le liste maggiori hanno visto ridursi il rispettivo numero di seggi.
– Lei scrive che “nessuno dei due principali raggruppamenti è disposto ad allearsi con i palestinesi”, mentre incontri con gli stessi sono avvenuti sia prima che dopo il giorno delle votazioni, e, lei mi insegna, in questi incontri sono spesso presi accordi che poi si preferisce non rendere pubblici. Considerata la delicatezza della questione, lei vorrà convenire che è meglio non esprimersi in merito, come proprio le recenti dichiarazioni del leader arabo dimostrano. Quanto al termine “palestinesi”, io preferisco usare il più corretto “arabi-palestinesi” perché, storicamente, in quelle terre venivano chiamati palestinesi gli abitanti di religione ebraica, mentre venivano chiamati arabi quelli di religione musulmana o cristiana.
– Lei definisce “potere egemonico” quello di Netanyahu, ma le faccio osservare (senza essere personalmente un sostenitore del premier uscente) che, al contrario, Netanyahu si è ripetutamente rimesso alla volontà popolare; proprio noi italiani dobbiamo essere molto attenti prima di muovere ad altri leader simili rimproveri.
– Lei scrive di una volontà di Netanyahu di “annettere la West Bank, cioè le tradizionali regioni di Giudea e Samaria”; non può sfuggirle, professore, che, dopo la firma degli accordi di Oslo, Israele ha il controllo militare ed amministrativo della zona C. Netanyahu non ha mai espresso l’intenzione di annettersi Giudea e Samaria, e ben pochi sono gli israeliani che pensano oggi ad una annessione di tutte quelle terre, pur se furono inizialmente tutte promesse agli ebrei (accordi di Sanremo, 1920, confermati dalla Società delle Nazioni, 1922). Di zona C si deve parlare oggi, e non di Giudea e Samaria.
– Non mi è affatto chiaro a che cosa lei alluda, professore, quando scrive che Gantz dovrebbe “rallentare la costruzione del muro”; quello che lei chiama “muro”, ma che, in realtà, per circa il 95% della sua lunghezza è un reticolato (si presenta come “muro” solo nei punti nei quali, per la vicinanza di case o di strade, è troppo facile sparare contro i cittadini israeliani), è già stato ultimato da anni, e nessuno sta pensando di allungarlo, dal momento che la deterrenza che ne ha suggerito la costruzione funziona piuttosto bene.
– “Difficile è il ritorno alla strategia di due stati, dopo i falliti tentativi di Barak e di Olmert”, scrive più oltre, ma, professore, i tentativi per arrivare “ai due stati” sono stati fatti fin dall’epoca del mandato britannico, e sono sempre falliti tutti per il costante rifiuto arabo; non sarebbe il caso di riflettere sulle ragioni di questi rifiuti prima di continuare con una politica evidentemente destinata al fallimento, e ciò non per colpa di questo o di quel governo israeliano?
– Professore, lei si augura che, con un eventuale governo Gantz, si possa arrivare ad avere “un rapporto meno conflittuale”, ma le faccio osservare che proprio Netanyahu, più di tanti suoi predecessori, ha sempre cercato in tutti i modi di non avere “conflitti” con gli arabi-palestinesi.
Come vede, gentile Professore, gli argomenti che ho sollevato con questa mia sono numerosi, e mi permetto, quindi, di chiederle un incontro per poter approfondire i vari temi che rendono, al momento, impossibile, vedere una soluzione per un conflitto iniziato ben prima della nascita dello Stato di Israele.
Rimango in attesa di una sua cortese risposta e colgo l’occasione per inviarle cordiali saluti
Emanuel Segre Amar
Presidente Gruppo Sionistico Piemontese