Marò: e adesso non rimandarli in India. Tutte le fubale che ci hanno raccontato gli indiani

23 Dicembre 2012

marò in italia

I due marò del Reggimento San Marco da mesi sequestrati in India con l’accusa di omicidio, sono finalmente rientrati in Italia anche se, ufficialmente, solo per una decina di giorni. Secondo le promesse fatte dal Governo italiano a quello indiano dovrebbero rientrare in India per essere processati, ma i dubbi su questo processo sono tanti e forse, prima di restituirli ai loro possibili carnefici, ci sarebbe da fare qualche piccola considerazione.

marò proiettili inchiestaPrima di tutto i dubbi mai dipanati su quello che è effettivamente avvenuto. I nostri marò hanno dichiarato di essere stati attaccati da dei pirati e di aver esploso alcune raffiche in acqua e non direttamente sulla barca. Una prima perizia indiana sui corpi dei marinai indiani uccisi parla di “proiettili calibro 7,62” (perizia redatta dal professor Sisikala, anatomo patologo del tribunale di Trivandrum che nel misurare i proiettili parla di “proiettili con una circonferenza di  2,1 centimetri alla punta, 2,4 alla base ed è lungo 3,1 centimetri”, esattamente le misure di un calibro 7,62 ). Ebbene i proiettili in dotazione alle nostre forze armate e alle armi dei marò (fucili Beretta Sc 70-90 e mitragliatrici Fn Minimi) sono molto più piccoli essendo 5,56×45. Pochi giorni dopo però la perizia viene cambiata e i proiettili che hanno colpito i marinai indiani diventano improvvisamente del calibro in dotazione ai marò. Gli esperti italiani non hanno mai potuto partecipare a queste perizie o se lo hanno fatto sono stati molto limitati nell’accesso alle prove. Da notare come i proiettili indicati nella prima perizia dal professor Sisikala coincidano con quelli in dotazione alla guardia costiera dello Sri Lanka.

Anche per questo gli esperti balistici italiani avrebbero dovuto vedere il peschereccio indiano colpito anche per vedere le traiettorie dei proiettili (per esempio sparare dal ponte di una petroliera produce una inclinazione diversa rispetto allo sparare da una nave più piccola come per esempio i barchini della guardia costiera dello Sri Lanka). Ebbene, il peschereccio (il Saint Antony) è sparito. Infatti il suo proprietario, con la scusa che il peschereccio era essenziale per il suo sostentamento, ne ha chiesto il dissequestro ottenendolo. Solo che poi non l’ha rimesso in mare ma lo ha demolito pezzo per pezzo non appena ne è tornato in possesso. Ma non era indispensabile per il suo sostentamento? Risultato, i tecnici italiani non hanno potuto fare nessuna perizia sul peschereccio.

Infine le prove di sparo fatte dalle autorità indiane con le armi dei marò. Le prove di sparo si fanno solo quando i proiettili trovati nel corpo della vittima sono dello stesso calibro di quelli dell’arma sospetta. Solo che, come abbiamo detto, il professor Sisikala nella sua prima perizia lo aveva escluso. Quindi, a cosa sono servite? Semplice, a fornire agli indiani la “prova fumante”, cioè quei proiettili che altrimenti non avrebbero potuto avere.

Insomma, siamo di fronte alla più grande montatura che la storia ricordi. I nostri marò non hanno mai sparato ai pescatori indiani del Saint Antony e questo qualsiasi tribunale di un qualsiasi Paese normale lo potrebbe appurare con immediatezza. Solo che siamo in India e non in un Paese normale, e in India la detenzione illecita di stranieri è un vero e proprio business milionario (chiedere a Falcone e Nobili).

Per questo motivo prima di restituire i nostri marò ai loro aguzzini sarebbe il caso di pensarci molto bene. E’ vero, lo Stato italiano ha dato la sua parola, ma è anche vero che l’India ha usato l’inganno per far rientrare la petroliera “Enrica Lexie” in acque territoriali indiane e poi ha continuato nascondendo le prove dell’innocenza dei due marò. Perché mai quindi dovremmo mantenere la nostra parola e restituire i nostri marò agli indiani?

Bianca B.

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