È piuttosto strano quello che sta facendo il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, con l’Iran. Apparentemente sembra essere passato dal trovarsi ad un passo dallo storico riconoscimento di Israele ad un altrettanto storica alleanza strategica con l’Iran.
Domenica scorsa i leader del mondo arabo si sono riuniti a Riad, capitale dell’Arabia Saudita, per discutere ufficialmente della situazione a Gaza e in Libano. In realtà quello di cui hanno discusso i leader arabi era un avvicinamento strategico all’Iran, avvicinamento che sembra stare a cuore quasi unicamente all’Arabia Saudita.
Non a caso domenica i capi di stato maggiore sauditi e iraniani si sono incontrati a Teheran, segnalando un ampio e storico disgelo nelle relazioni militari tra i due paesi proprio mentre l’Iran considera un nuovo attacco a Israele. Questo dopo che, sempre per iniziativa saudita, il mese scorso i ministri degli esteri degli Stati del Golfo si sono incontrati per la prima volta in gruppo con la loro controparte iraniana.
È difficile capire cosa nasconda tutto questo attivismo di Mohammed bin Salman. Fino a pochi giorni fa sembrava che insieme agli emiratini, i sauditi si apprestassero a riprendere l’offensiva in Yemen contro i ribelli Houthi sostenuti dall’Iran. Un evento del genere avrebbe nuovamente posto Iran e Arabia Saudita l’uno contro l’altro. Ma tutto si è bloccato.
La cosa ancora più strana è che l’attivismo del principe saudita è esploso in contemporanea con l’elezione a presidente degli Stati Uniti di Donald Trump, cioè con l’arcinemico dell’Iran e super amico di Israele.
O è uno sbaglio di calcolo clamoroso, o quella serpe di Mohammed bin Salman nasconde qualcosa.
Ora, io ho sempre creduto poco al fatto che i sauditi avessero intenzione di riconoscere Israele. Forse (molto forse) il principe ereditario lo vorrebbe, ma il Regno non è pronto ad un passo del genere. Il wahhabismo è potentissimo e nemmeno il crudele Mohammed bin Salman può opporvisi.
Ma è altrettanto vero che il wahhabismo è l’estremismo dell’Islam sunnita, non certo quindi “ideale” per allearsi con gli arcinemici sciiti dell’Iran. Quindi?
Secondo Hasan Alhasan, un ricercatore senior per la politica mediorientale presso l’International Institute for Strategic Studies, l’Arabia Saudita si starebbe mettendo in una posizione di quasi neutralità per diventare agli occhi del Presidente eletto, Donald Trump, un “elemento appetibile come negoziatore”.
Se c’è una cosa che spaventa gli arabi è una escalation tra Iran e Israele che porti alla chiusura del Golfo Persico. Se, come sembra, gli iraniani attaccheranno nuovamente Israele, questa volta la risposta israeliana sarebbe devastante e colpirebbe anche le infrastrutture petrolifere iraniane. Teheran bloccherebbe subito lo Stretto di Hormuz bloccando di fatto la via del petrolio. È l’incubo di Mohammed bin Salman. Di qui l’idea che l’Arabia Saudita stia cercando di evitare una escalation tra Gerusalemme e Teheran.
E i palestinesi? E i libanesi? Dei primi non gliene importa niente a nessuno. Gli arabi, ufficialmente, chiedono uno Stato palestinese ma in realtà vivono il tutto come un fastidio. In merito ai secondi domenica a Riad si è espresso il primo ministro ad interim del Libano, Najib Mikati, il quale ha chiesto che i paesi smettessero di “interferire nei suoi affari interni sostenendo questo o quel gruppo” — un riferimento implicito al sostegno dell’Iran a Hezbollah. No Hezbollah, no guerra, lo hanno capito tutti. Nessun accenno a Israele.