Da ottobre sono stati registrati oltre 160 attacchi contro soldati americani in Iraq e Siria. Tuttavia, meno del dieci per cento degli attacchi hanno subito ritorsioni.
Il coinvolgimento di Teheran nelle azioni dei ribelli Houthi dello Yemen contro la navigazione nel Mar rosso è palese, tuttavia le ritorsioni sono dirette solo a qualche insignificante deposito di armi dei ribelli Houthi e non contro obiettivi degni di nota o verso i mandanti, cioè gli Ayatollah iraniani.
La longa mano dell’Iran si può notare anche nell’attacco del 7 ottobre contro Israele portato da Hamas grazie alle armi iraniane e, soprattutto, grazie all’addestramento iraniano.
Eppure le informazioni che arrivano questa mattina dalle intelligence di diversi paesi del Golfo e dal Mossad israeliano ci raccontano che la promessa ritorsione americana per l’attacco contro le truppe statunitensi nel nord-est della Giordania, che ha provocato la morte di tre membri delle forze armate statunitensi e il ferimento di altri 40, non ci sarà o se ci sarà non dovrebbe essere degna di nota.
Perché una ritorsione degna di nota non dovrebbe certo essere contro i fantocci iracheni di Teheran che hanno lanciato l’attacco su commissione degli Ayatollah, ma dovrebbe essere contro chi quell’attacco lo ha ordinato, cioè l’Iran.
L’inadeguatezza delle risposte militari alle azioni di Teheran ha reso il Medio Oriente e l’Occidente ostaggi di Teheran. Costringe il commercio globale ad un aumento delle spese intollerabile e che rischia di trascinare l’Europa nuovamente nel vortice inflazionistico. Mantiene in vita Putin e con esso la guerra in Ucraina. Minaccia quotidianamente una escalation del conflitto tra Israele e Hamas attraverso Hezbollah.
Eppure le intelligence arabe sostengono che Biden stia trattando quotidianamente con l’Iran. Secondo alcuni rapporti il Presidente americano invierebbe a Teheran, tramite terze parti, più di un messaggio al giorno nei quali sostiene di «non volere una guerra aperta» ma che l’escalation sarebbe inevitabile se gli Ayatollah dovessero continuare a destabilizzare la regione.
In risposta gli iraniani avrebbero “avvertito” che «prendere di mira il territorio iraniano è una linea rossa, e oltrepassare la linea significherebbe ricevere una risposta adeguata».
Dunque, da un lato abbiamo un prepotente regionale, l’Iran, che attraverso decine di proxy e azioni destabilizzanti tiene in ostaggio il Medio Oriente, che attraverso la vendita di armi alla Russia tiene in piedi una guerra che altrimenti sarebbe già finita e attraverso gli Houthi condiziona il commercio globale. Dall’altro abbiamo la più grande potenza mondiale, l’America, che nonostante tutto ciò sia evidente, nonostante le prove schiaccianti che a tirare i fili di una terza guerra mondiale sia Teheran, non fa assolutamente niente per cambiare le cose. Anzi, a volte appare persino intimorita.
Stanno vincendo i bulli di quartiere, quelli che fanno credere di avere chissà quali armi e potenzialità quando invece, se solo si volesse, verrebbero spazzati via in poco tempo. Stanno vincendo i Putin, i Khamenei, i Nasrallah, stanno vincendo gli Haniyeh e i Sinwar e tutto perché il Presidente Biden ha paura di una escalation e arriva addirittura a bloccare Israele e a chiedere a Gerusalemme di non “picchiare troppo forte”.
Questa codardia verso gli Ayatollah iraniani da parte dell’uomo più potente del mondo è oltremodo imbarazzante. E non è giustificata dalle imminenti elezioni americane perché se siamo a questo punto è solo perché il Presidente Biden non ha avuto il coraggio di fermare l’Iran quando poteva e doveva.
Invece ha preferito cerca un accordo con gli Ayatollah, accordo che chiaramente a Teheran nessuno voleva ma che è servito a prendere tempo.
Forse è tempo davvero che alla Casa Bianca qualcosa cambi, magari con una donna Presidente che abbia il coraggio di fare quello che c’è da fare, o che permetta agli altri di farlo.