Nei giorni scorsi abbiamo dato la notizia che il nuovo capo di ISIS dopo la morte di Abu Bakr al-Baghdadi sarebbe Amir Mohammed Abdul Rahman al-Mawli al-Salbi (al-Salbi per le intelligence).
La notizia era corretta ma poco dettagliata, non tanto per quanto riguarda il nome di al-Salbi, confermato da più fonti, quanto piuttosto per la struttura futura di ISIS.
In realtà di quello che fu lo Stato Islamico rimarrà ben poco. ISIS troverà la sua naturale collocazione laddove sin dalla sua nascita i più lungimiranti analisti l’avevano collocato, cioè nell’ambito di quello che è il sogno di Erdogan e della Fratellanza Musulmana: il grande califfato globale (ottomano).
Un segnale indicativo di tutto questo arriva da una recente intervista rilasciata da Ahmad Shihabi, comandante dell’esercito siriano libero (FSA), alla TV turca Akit, intervista ripresa e tradotta da MEMRI.
Che Erdogan stesse facendo man bassa di ex combattenti di ISIS e di Al Qaeda è una cosa nota da tempo. Prima però si pensava che questi miliziani islamici, tutti inquadrati nelle FSA, fossero funzionali ad un controllo turco di una parte della Siria e probabilmente dell’Iraq. Ora, con l’intervista di Ahmad Shihabi il quadro cambia completamente.
Prima di tutto si parla per la prima volta apertamente di “califfato ottomano”. Non è un termine usato a caso dal terrorista islamico al soldo di Erdogan. È un punto di arrivo.
Alla domanda dell’intervistatore se le FSA manderanno i loro uomini a combattere in Libia Ahmad Shihabi risponde che «andremo ovunque ci sia la Jihad».
«Non ci fermeremo. Non appena avremo finito con l’ingiustizia di Bashar (Assad n.d.r.), saremo tra i primi ad andare ovunque ci sia ingiustizia. Inshallah, proprio come distruggeremo l’ingiustizia di Bashar, distruggeremo l’ingiustizia subita dai nostri fratelli nel Turkestan orientale (nome dato alla Libia dai turchi)».
Vi sono, in questa intervista, diverse cose inquietanti che dovrebbero far riflettere. Prima di tutto, come accennato prima, la locuzione “califfato ottomano”. Shihabi non fa altro che riprendere una frase pronunciata da Erdogan. «Siamo disposti a sacrificare le nostre vite, i nostri figli e i nostri anziani per il bene del nostro paese … per il bene del califfato ottomano».
La Jihad funzionale al califfato ottomano che diventa quindi una cosa pubblica, ufficiale. E quel “andremo ovunque ci sia la Jihad” la dice lunga sul fatto che la Libia sarà solo il primo passo di una strada ben più lunga e ambiziosa. Anche perché sono loro a decidere dove ci sia una Jihad da fare. Oggi è la Libia, domani potrebbe essere qualsiasi posto faccia comodo alla politica di Erdogan. La Grecia, Cipro, Israele o addirittura l’Europa.
L’altra cosa inquietante è proprio relativa al nuovo capo di ISIS. Al-Salbi è un trukmeno, con un fratello che abita in Turchia introdotto nel sistema politico turco essendo membro importante del fronte iracheno turkmeno, un partito che vuole l’annessione dell’Iraq del nord alla Turchia.
Erdogan ha già dimostrato di saper usare gruppi terroristici come le FSA per i suoi scopi politici. In passato ha già fatto affari con ISIS sotto gli occhi di tutti. Cosa gli impedisce ora di trasformare il “nuovo” ISIS in un proxy turco così come ha fatto con l’esercito siriano libero? Ha tutte le carte in regola per poterlo fare.
Pensate al potenziale che potrebbe avere gestendo da remoto le attività di ISIS e delle FSA. Gli basta indicare che in un luogo qualsiasi sia necessaria una Jihad, inviare un po’ di squadracce o cellule terroristiche e il gioco è fatto. Non si sporcherebbe nemmeno le mani. Quello che sta avvenendo in Libia è molto indicativo.
Abbiamo l’impressione che quello che sta facendo Erdogan nel Mediterraneo (non solo in Libia) sia molto sottovalutato. Il califfo ottomano non sta solo rivendicando aree di Mediterraneo non sue, sta gettando le basi per imporre militarmente le sue assurde rivendicazioni. Sta gettando le basi per quel “califfato ottomano” di cui parla liberamente (quasi con orgoglio) Ahmad Shihabi nella sua intervista.
Ora, possiamo far finta di niente e rimanere impassibili di fronte al piano del califfo ottomano, oppure possiamo provare a contrastarlo fattivamente con azioni politiche e finanche militari. Però occorre coraggio, occorre affrontare la realtà dei fatti con lucidità prima che sia troppo tardi.