Che tra le priorità del regime turco ci sia l’espansione islamica globale non è certo un mistero. Ne abbiamo parlato più volte e in diverse occasioni. È uno dei pilasti della Fratellanza Musulmana.
Quello che invece c’era sin qui sfuggito era il potere acquisito nel corso degli anni dal dipartimento del governo turco che gestisce l’amministrazione degli affari religiosi, il Diyanet.
Tecnicamente il Diyanet dovrebbe interessarsi solo degli affari religiosi interni alla Turchia, ma con il passare degli anni e sotto il regime di Erdogan questo controverso dipartimento ha assunto sempre più le sembianze di un vero e proprio centro di potere, un po’ come avviene in Iran con il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (IRGC).
I turchi laici, ormai ridotti al lumicino, la chiamano “Diyanet Holdings”, un mostro che oggi è arrivato ad impiegare ben 107.000 persone e che controlla migliaia di attività in Turchia e all’estero tra le quali la maggioranza (se non tutte) hanno come obiettivo quello di promuovere l’espansione islamica globale.
Con un budget di 825 milioni di euro l’anno, supera di gran lunga qualsiasi istituzione turca per disponibilità di denaro, soldi che vengono spesi per promuovere l’islamizzazione e le tradizioni islamiche in tutto il mondo.
La differenza con le IRGC iraniane è che al momento il Diyanet non dispone di un settore militare, ma vista la rapida crescita non escludiamo che da qui a qualche anno il dipartimento degli affari religiosi arrivi anche a questo.
Come i Guardiani della Rivoluzione Islamica il Diyanet controlla centinaia di attività che vanno dalla macellazione della carne (mezzo milione di capi macellati ogni anno) al controllo dei pellegrini, dalle fabbriche che producono di tutto fino al controllo delle maggiori aziende statali e private con propri membri all’interno di molti Consigli di amministrazione.
L’obiettivo è quello di guadagnare denaro da poter reinvestire nelle attività di proselitismo a livello globale. E di denaro ne guadagnano tanto.
Il teologo turco Cemil Kilic afferma che «oggi Diyanet appare come una gigantesca holding – o ancora peggio – come uno stato all’interno di uno stato. Non dovrebbe essere in grado di agire come una potenza economica eppure lo fa».
«Il Diyanet è nato come una istituzione che doveva servire i poveri della Turchia» continua Kilic «invece è diventato una multinazionale che pensa solo al profitto da investire nel proselitismo più spinto, un qualcosa di estremamente oscuro e pericoloso che ricorda i come struttura, come potere e come mission le guardie rivoluzionarie iraniane».