Come abbiamo detto più volte, appare improbabile che Abu Mazen voglia veramente creare uno Stato palestinese indipendente che viva in pace a fianco di Israele. Ogni azione del Presidente della ANP porta a pensare questo, ogni parola passata o presente proferita da Abu Mazen porta a pensare che la dirigenza palestinese non ha alcuna intenzione di creare uno Stato palestinese, quantomeno non ha intenzione di vivere in pace a fianco di Israele.

Due giorni fa uno degli architetti degli accordi di Oslo, Yossi Beilin, intervistato dal Times of Israel profetizzava che Netanyahu si sarebbe ritirato unilateralmente dalla West Bank per togliere ad Abu Mazen l’arma dello Stato binazionale. Probabilmente l’ex Ministro israeliano non è andato lontanissimo dalla verità sui piani di Netanyahu anche se il Primo Ministro israeliano non intende certo fare una operazione come quella fatta con il disastroso ritiro da Gaza ma pianifica un ritiro che salvaguardi la sicurezza di Israele, gli insediamenti e allo stesso tempo costringa Abu Mazen a creare uno Stato entro confini ben definiti anche se provvisori. Insomma, Netanyahu vuole mettere Abu Mazen alle strette e metterlo di fronte alle sue responsabilità.

Il primo passo: gli accordi su Gerusalemme con la Giordania

I media ne hanno parlato pochissimo, ma quanto avvenuto nei giorni scorsi tra Israele e Giordania in merito agli accordi sul Monte del Tempio è un primo importante passo verso il compimento della strategia di Netanyahu per separare definitivamente Israele dalla Palestina e per gettare le basi di un ritiro dalla Cisgiordania. In quella occasione il fatto più importante è stata l’esclusione di Abu Mazen dai colloqui sul monte del tempio. I media si sono concentrati moltissimo sulla decisione di piazzare telecamere fisse sul Monte del Tempio (cosa stranamente non gradita dai palestinesi) ma in pochi hanno sottolineato l’assenza del Presidente palestinese. In realtà per questa clamorosa esclusione c’è una ragione ben precisa legata alle pretese palestinesi in merito allo status di Gerusalemme e, in secondo piano, riguardo al cosiddetto “rientro dei profughi”. Israele non negozierà sulla status di Gerusalemme, questo ormai è chiaro a chiunque. Gerusalemme è la capitale di Israele e su questo non si può trattare. Tuttavia si può trattare sul Monte del Tempio (o Spianata delle Moschee, come la chiamano gli arabi) e sulla salvaguardia dei luoghi santi alle varie religioni. Un accordo con la Giordania per la tutela della Moschea di Al-Aqsa che escluda qualsiasi coinvolgimento palestinese è il primo vero passo verso un riconoscimento condizionato di Gerusalemme come capitale di Israele. Condizionato perché prevede la tutela esterna (da parte della Giordania) dei luoghi sacri all’Islam senza però che ciò preveda che il sito del Monte del Tempio sia in territorio palestinese. E’ un compromesso accettabile per Israele e probabilmente anche per gli arabi. Di sicuro non lo è per Abu Mazen che farà di tutto per evitare che un accordo del genere vada in porto. Il motivo è sempre lo stesso, non c’è da parte della dirigenza palestinese la reale volontà di creare lo Stato di Palestina. Ma se il piano di Netanyahu andasse in porto a quel punto i palestinesi sarebbero messi di fronte al fatto compiuto e non avrebbero dalla loro il supporto degli arabi, garantiti sulla salvaguardia dei loro luoghi sacri. Più complesso invece il discorso sui cosiddetti “profughi palestinesi” che per il Diritto internazionale non sono affatto profughi ma lo sono per la UNHRW. Teoricamente dovrebbero essere salvaguardati dallo Stato che li ospita, ma in pratica nessuno di questi Stati (Libano, Giordania, Siria e in minima parte Iraq) li vuole. Su questo la trattativa sarà molto più complessa.

Forzare la nascita di uno Stato palestinese

Quello che Netanyahu intende fare è togliere ad Abu Mazen ogni velleità su un eventuale Stato binazionale, che poi è l’obbiettivo principale del Presidente palestinese, e forzare la nascita di uno Stato palestinese indipendente in tutto e per tutto da Israele. Netanyahu vuole andare a vedere il bluff palestinese, smascherare le vere intenzioni di Abu Mazen e di tutta la macchina che gira intorno alla Palestina. Ma per farlo deve giocoforza pianificare il ritiro dalla Cisgiordania. Abu Mazen lo ha capito benissimo, per questo nei giorni scorsi ha messo sul piatto la richiesta di una forza di pace internazionale in Palestina, per costringere Netanyahu che invece si oppone, a rivedere i propri piani e soprattutto per rimandare per l’ennesima volta qualsiasi assunzione di responsabilità in merito alla creazione di uno Stato palestinese.

E’ una partita a scacchi che in realtà non si dovrebbe nemmeno giocarsi dato che, a detta di tutti, ogni uomo sulla terra chiede la nascita della Palestina. Ma a quanto pare tra questi gli unici che non lo vogliono sono proprio i palestinesi.

Scritto da Gabor H. Friedman