Israele a un bivio: attaccare subito l’Iran o aspettare le mosse di Teheran?

Possibile che la storia dell'attacco iraniano diffusa da NYT e Axios sia vera, oppure che sia una trappola per spingere Israele a colpire per primo. In ogni caso, perché non farlo?
1 Novembre 2024
Israele a un bivio attaccare iran oppure no

Secondo il New York Times gli Ayatollah iraniani starebbero pensando di portare un nuovo attacco a Israele in risposta a quello israeliano di sabato scorso.

Anche Axios suggerisce che a Teheran starebbero pensando di colpire nuovamente Israele anche se il piano sarebbe quello di usare anche i Proxy, soprattutto quelli iracheni.

È in questo contesto minaccioso che in Israele si è fatta vanti l’idea di colpire l’Iran con un attacco preventivo a sorpresa, per di più potendo godere dei risultati dell’attacco di sabato scorso che in pratica ha messo fuori uso tutte le difese iraniane.

L’attacco preventivo fa parte della dottrina militare israeliana. L’IDF lo ha usato anche di recente contro Hezbollah sventando un grande attacco e distruggendo buona parte dell’arsenale balistico dei terroristi libanesi. Quindi funziona.

Ma allora, perché Israele non sfrutta questo momento unico e irripetibile per “finire” l’avversario una volta per tutte e tagliare la testa della piovra iraniana? Qui il problema diventa serio perché entra in campo la politica, soprattutto quella di Biden (e della Harris).

L’attuale Amministrazione americana, in scadenza di mandato, punta su una de-escalation in tutto il Medio Oriente. Un attacco preventivo israeliano, invece, porterebbe a una escalation i cui risultati potrebbero essere molto dannosi per i democratici a pochi giorni dalle votazioni. Ci sarebbe un inevitabile innalzamento del prezzo del petrolio e del gas. Se poi le Guardie della Rivoluzione (IRGC) chiudessero lo Stretto di Hormuz e contemporaneamente gli Houthi chiudessero quello di Bab al-Mandab impedendo l’ingresso nel Mar Rosso, avremmo davvero una situazione fuori controllo.

A onor del vero bisognerebbe dire che il quadro descritto poco sopra potrebbe palesarsi anche se Israele non attaccasse preventivamente l’Iran ma lo facesse solo dopo essere stato attaccato come riferiscono il Times e Axios. Oppure anche se l’Iran attaccasse Israele e Gerusalemme, per ragioni fantascientifiche, non rispondesse. Quello della chiusura dei due stretti più strategici del mondo è l’unico vero deterrente che rimane a Teheran.

Ora, di questo ne sono convinti anche gli Ayatollah e i loro cagnolini da guardia, i pasdaran, e su questo contano per far pressione su Washington affinché a loro volta gli americani facciano pressione su Gerusalemme al fine di evitare la contro-risposta israeliana.

È un po’ come camminare sulla lama di un rasoio, i margini di errore sono ristrettissimi. E non si capisce dove finisce il bluff e dove cominci la realtà. Mi spiego meglio. Non è detta che quando gli Ayatollah fanno sapere che lanceranno un attacco contro Israele dicano la verità, anzi, è possibile che mentano. Il motivo? Spingere Israele a un attacco preventivo per poi dare tutta la colpa a Gerusalemme per le conseguenze di cui abbiamo parlato sopra.

Per di più sarebbe anche un buon metodo per evitare la figuraccia, che potrebbe essere letale per il regime, di veder fallire l’ennesimo attacco a Israele.

E se l’idea di un attacco fosse vera?

C’è un’altra ipotesi che circola tra l’intelligence di Israele: gli Ayatollah starebbero mettendo insieme quello che rimane degli arsenali di Hezbollah, Houthi dello Yemen e varie sigle terroristiche irachene per un attacco coordinato con missili e droni al fine di saturare le difese israeliane e poi colpire lo Stato Ebraico con i missili balistici lanciati dall’Iran. Questa ipotesi è molto verosimile ed è presa molto in considerazione a Gerusalemme.

Per il regime iraniano sarebbe una specie di “prendere o lasciare” o, per usare un termine derivato dal poker, un all-in con il quale mettere sul tavolo tutte le chips (o fiches che dir si voglia) sperando che l’altro abbia carte peggiori.

La scommessa iraniana si basa tutta sul fatto che a quel punto sarebbe Israele ad essere tra due fuochi: contrattaccare sapendo che l’Iran potrebbe bloccare completamente il mercato del petrolio, oppure cedere alle pressioni americane e ingoiare il rospo.

Per una operazione del genere a livello militare il momento giusto sarebbe adesso che Washington è in fase di transizione, ma a livello politico rischia di favorire Trump il che vorrebbe dire totale mano libera a Israele. È un bel dilemma.

Ricapitolando, per l’Iran un attacco preventivo da parte di Israele sarebbe la migliore delle ipotesi per i  motivi che abbiamo spiegato sopra, soprattutto perché permetterebbe a Teheran di incolpare Israele di tutte le conseguenze che ne deriverebbero, situazione che potrebbe portare all’isolamento completo di Israele, che poi è anche uno degli obiettivi degli Ayatollah (e non solo).  

Quindi, trappola o verità? Se le voci provenienti da diverse fonti che parlano di “impazienza” da parte di una parte del governo israeliano in merito ad un attacco preventivo sono vere, probabilmente lo vedremo nelle prossime ore. Personalmente avrei già attaccato, anzi, avrei finito il lavoro immediatamente dopo il primo attacco.

È una trappola? Possibilissimo, gli iraniani sono scaltri, quasi raffinati. Vale la pena cadere nella trappola iraniana? Secondo me si. Se non ora quando?

Franco Londei

Esperto di Diritti Umani, Diritto internazionale e cooperazione allo sviluppo. Per molti anni ha seguito gli italiani incarcerati o sequestrati all’estero. Fondatore di Rights Reporter

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