L’attentato di New York ripropone il problema della immigrazione islamica

L’attentato di matrice islamica che ha colpito ieri New York, l’ennesimo contro una città occidentale, ripropone con forza il tema della immigrazione islamica e di come sia difficile affrontare detto problema senza correre il rischio di pesanti generalizzazioni o accuse di islamofobia.

Ma è inutile negare che l’occidente con l’immigrazione islamica ha un problema serio. Possiamo cercare di non generalizzare, possiamo pensare che i fanatici islamici siano solo una minoranza, i più ottimisti possono anche pensare che occidente e islam possano convivere, ma è indubbio che la differenza di mentalità tra Islam e occidente è abissale.

La nascita di ISIS non ha fatto altro che confermare questa lontananza tra i valori occidentali e quelli islamici. E il paradosso più evidente è che tale differenza si nota maggiorente proprio in occidente dove ISIS ottiene più consensi che nei paesi islamici. Per spiegare meglio quello di cui sto parlando anticipo un piccolo passo di un report che stiamo preparando sullo Stato Islamico

“ Paradossalmente la popolarità di Daesh è sempre stata maggiore in occidente che nei paesi arabi. I musulmani occidentali, frustrati da un mondo nel quale non si riconoscevano, vedevano in Daesh un faro guida”

Questo piccolo spaccato di un report ben più corposo dedicato al movimento creato da Abu Bakr al-Baghdadi che pubblicheremo i prossimi giorni, ci serve per introdurre il tema della immigrazione islamica e di come questo fenomeno sempre più vasto impatti con il nostro sistema di vita cambiandolo in peggio.

Nel caso di New York si trattava di un immigrato uzbeko in possesso di regolare green card, tale Sayfullo Saipov, ma per esempio in Europa buona parte degli attentati di matrice islamica sono stati compiuti da giovani nati e cresciuti in occidente, non da musulmani venuti chissà da dove per compiere attacchi. Erano ragazzi con una vita regolare e senza particolari problemi, eppure hanno preferito immolarsi alla causa di Allah uccidendo innocenti, il tutto per ribadire che il mondo islamico è lontano dai nostri modi di vivere. Non sono casi isolati e anche se la maggioranza degli immigrati islamici probabilmente non si riconosce nei metodi dello Stato Islamico (ma potrebbero essere metodi di Al Qaeda, Hamas, Hezbollah ecc. ecc.) non se la sente di condannarli o di prendere le distanze da quella ideologia.

E’ un problema, un problema molto serio che prima o poi si dovrà affrontare mettendo da parte il politically correct che fino ad oggi ha impedito persino di accennare a questo problema senza ricevere accuse di razzismo e di islamofobia.

Personalmente non sono quasi mai d’accordo con quanto afferma il presidente Trump, ma in un Twitt di ieri sera il Presidente americano ha detto una cosa giusta quando nell’annunciare di aver ordinato alla Homeland Security di intensificare i controlli ha affermato che «essere politicamente corretti va bene, ma non fino a questo punto». Ecco il punto: quanto paga essere politicamente corretti? Quanto paga far finta che il problema della convivenza tra i valori occidentali e l’islam non esista? Possiamo davvero continuare ad andare avanti come se niente fosse, aspettare il prossimo attentato per poi dimenticarcene in pochi giorni in attesa del successivo attacco solo per essere “politically correct”? Io non credo.

Saipov, nel nome di Allah, ha ucciso otto persone e ne ha ferite una dozzina, esseri umani che come unica colpa avevano quella di essere nel punto sbagliato nel momento sbagliato in una giornata normale che doveva essere gioiosa e di festa. Allora, lo possiamo dire che siamo stanchi di morire nel nome di Allah senza pensare a come difenderci, oppure rischiamo una accusa di islamofobia? Possiamo dire che è arrivato il momento di affrontare con serietà il problema della immigrazione islamica e del suo impatto nella civiltà occidentale, oppure dobbiamo per forza accettare tutto in silenzio pur di essere politicamente corretti?

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