Medio Oriente (Rights Reporter) – OK, riponete le scimitarre nel fodero, non è ancora il momento di attaccare l’Iran. L’accordo sul nucleare iraniano è ancora in piedi anche per gli Stati Uniti nonostante le roboanti dichiarazioni del Presidente Trump. La Boing avvisa che l’affare da otto miliardi di dollari è salvo, le banche europee possono stare tranquille sul fatto che le “amorali” trattative con le banche iraniane possono proseguire senza intoppi. Insomma, gli affari con gli Ayatollah sono salvi e invariati, esattamente come l’accordo sul nucleare iraniano.
Verrebbe da dire tanto fumo ma niente arrosto anche se le parole di Trump contro l’Iran sono un macigno che difficilmente potrà essere ignorato dal resto del mondo. Ma con le parole non si è mai fatta la politica in Medio Oriente dove a contare sono i fatti. E i fatti ci dicono che Trump non ha deciso proprio nulla in merito all’accordo sul nucleare iraniano ma che ha semplicemente delegato il Congresso americano a decidere per suo conto. Intanto tutto prosegue come prima con l’aggravante di aver trasformato gli iraniani da carnefici (quali sono) a vittime.
Ieri Paola P. Goldberger ha scritto una delle analisi più lucide che abbia letto sulla decisione di Trump di “decertificare” l’accordo sul nucleare iraniano e faceva notare come questa decisione che non sancisce affatto la rottura di quell’accordo potesse essere persino dannosa per Israele. L’unico vero merito che si può dare a Trump è quello di aver finalmente parlato chiaro sul reale pericolo rappresentato dall’Iran e di aver posto il problema delle tantissime falle contenute nell’accordo sul nucleare iraniano che invece di portare il mondo verso un periodo di pace lo stanno portando verso un conflitto di immani proporzioni. Peccato che poi sul terreno quelle parole non bastino per fermare l’aggressione iraniana al Medio Oriente e la minaccia esistenziale nei confronti di Israele.
Per questo motivo vorrei uscire un attimo dalla tifoseria pro-Trump o contro-Trump (francamente stucchevole oltre che del tutto inutile) per analizzare con più attenzione quello che sta realmente accadendo in Medio Oriente lasciando che la politica faccia il suo corso sull’accordo con Teheran. Quello che a noi (e a Israele) interessa veramente non sono le manovre politiche ma i dati di fatto sul terreno.
Ora, i dati di fatto ci dicono che i Guardiani della Rivoluzione iraniana e gli Hezbollah libanesi sono a poche decine di Km dal confine nord di Israele e che stanno sempre di più diventando stanziali in quell’area. Teheran ha un piano per la Siria e per il Libano e lo sta progressivamente mettendo in atto. A Gerusalemme lo sanno benissimo ed è questo il loro problema più immediato. Non sono le falle dell’accordo sul nucleare iraniano, falle che certamente sono state un mezzo per rafforzare le mira genocide iraniane ma che ormai sono un dato di fatto che difficilmente verrà mutato dalle parole di Trump. A Gerusalemme sono abituati a fare i fatti al di la della politica e senza guardare in faccia a nessuno quando si tratta di garantire la sicurezza della popolazione israeliana. E’ su questo che ci dobbiamo concentrare, non sulle varie simpatie politiche che non fanno altro che dividere il fronte pro-Israele.
La situazione è molto più grave di quella che dall’indolente occidente si possa vedere. L’intelligence israeliana sforna rapporti giornalieri sul progressivo posizionamento iraniano (e degli alleati di Teheran) a ridosso del confine israeliano e sulle consegne di armi agli Hezbollah. E’ una corsa contro il tempo, una esclation lenta ma progressiva che preoccupa profondamente i vertici militari e della intelligence israeliana. Il dubbio che va risolto velocemente è se impostare una strategia difensiva passiva, una strategia difensiva attiva fatta di sporadici attacchi alle consegne di armi agli Hezbollah (come è stato fatto fino ad oggi), oppure decidere per un azione militare preventiva su larga scala sullo stile della Guerra dei sei giorni. E non sono in pochi tra i vertici militari israeliani a prediligere quest’ultima ipotesi.
Nei giorni scorsi diverse unità combattenti del IDF, tra le quali l’Unità Duvdevan, hanno condotto una vasta esercitazione di combattimento casa per casa, un tipo di esercizio che ha fatto pensare subito a un confronto con Hezbollah in Libano. Nella esercitazione su vasta scala condotta dall’esercito israeliano a settembre abbiamo potuto vedere e testare i nuovi mezzi militari studiati proprio per un eventuale conflitto con Hezbollah e con i pasdaran iraniani. In ambo i casi si è trattato di esercitazioni per operazioni offensive, non difensive come avveniva fino a un recente passato. Questo ci fa pensare che i vertici militari israeliani stiano decidendo per una operazione militare preventiva volta a mettere fine al posizionamento iraniano a ridosso del Golan e a mettere in sicurezza il confine nord dello Stato Ebraico.
E’ su questo che ci dobbiamo concentrare lasciando perdere il “difetto di comunicazione” rappresentato dalle parole del Presidente Trump che per quanto in buona fede rischia di diventare fuorviante e divisivo. E’ sulla realtà sul terreno che dobbiamo rimanere concentrati lasciando la politica ai politicanti. E la realtà sul terreno ci dice che l’inevitabile si sta avvicinando a grandi passi e che l’Iran non si ferma con la politica ma con i mezzi militari.
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