Ieri il Presidente americano, Donad Trump, ha incontrato alla Casa Bianca il Presidente della Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen), con il quale ha discusso della situazione in Medio Oriente e in particolare di quella che riguarda il conflitto israelo-palestinese.

Il Presidente Trump dopo il colloquio si è detto “molto ottimista” sul fatto che presto israeliani e arabo-palestinesi possano raggiungere un accordo basato sulla formula dei due Stati annunciando addirittura un piano “terrificante” sul rilancio del processo di pace in Medio Oriente. Peccato che, come sempre, si facciano i conti senza l’oste e che mai come ora la pace tra israeliani e arabo-palestinesi altro non sia che un mero miraggio, e non certo per colpa israeliana.

Il primo ostacolo, forse quello veramente insormontabile, è legato alle richieste palestinesi che pretendono il ritiro di Israele entro i confini del 1967 e la cessione di Gerusalemme Est. Mentre per i confini gli israeliani si sono detti più volte disponibili a fare concessioni, specialmente con uno scambio mirato di territori in modo da non compromettere alcuni insediamenti, per quanto riguarda la cessione di Gerusalemme Est la questione proprio non si pone. Israele non cederà mai nessuna parte di Gerusalemme. Lo sanno bene sia Abu Mazen che Donald Trump e continuare a chiedere l’impossibile non può fare altro che bloccare qualsiasi trattativa di pace.

L’altra richiesta impossibile che avanzano gli arabo-palestinesi è quella che riguarda il ritorno dei cosiddetti “profughi palestinesi”, quelli praticamente inventati dal nulla dalla UNRWA. Si parla di più di quattro milioni di persone che non hanno assolutamente nessun legame con la cosiddetta “Palestina”, nati in stati esteri dovrebbero avere la cittadinanza degli Stati dove sono nati essendo lo status di rifugiato non trasmissibile e, soprattutto, non essendo contemplato nel Diritto Internazionale il concetto di “rifugiato per diritto di nascita”. Questo è un problema che devono affrontare gli Stati arabi che ospitano questa gente e non riguarda minimamente Israele. Invece si vorrebbe che ad affrontare il problema sia il governo di Gerusalemme. Su questo punto non può esserci nessuna trattativa. E’ una faccenda tutta interna al mondo arabo.

Il terzo scoglio è il palese appoggio dato dalla ANP al terrorismo arabo-palestinese. Ieri molti rappresentanti repubblicani hanno chiesto al Presidente Trump di affrontare con Abu Mazen il problema del finanziamento sotto forma di vitalizi alle famiglie dei terroristi arabo-palestinesi che compiono attentati contro i civili israeliani. Oggi il lavoro più pagato nella cosiddetta “Palestina” è quello del terrorista. Oltre tutto la ANP per pagare questi vitalizia ai terroristi usa i fondi elargiti dalla Unione Europea e dai donatori internazionali tra i quali proprio gli Stati Uniti. Abu Mazen ritiene però che questi non siano terroristi ma “resistenti” e quindi non ha nessuna intenzione di interrompere questo vero e proprio finanziamento al terrorismo. E’ quindi logico che fino a quando questo finanziamento al terrorismo non terminerà non ci potrà essere nessun colloquio di pace tra Israeliani e arabo-palestinesi.

Il quarto problema insormontabile di chiama Hamas. Parlare di pace in Medio Oriente senza considerare la presenza di Hamas non ha alcun senso. Fino a quando il gruppo terrorista che tiene in ostaggio la Striscia di Gaza continuerà ad avere come obiettivo la distruzione di Israele non potrà esserci nessuna possibilità di pace in Medio Oriente. E non ci si faccia ingannare dal finto cambiamento apportato allo statuto di Hamas. E’ solo una mossa politica studiata a tavolino per ottenere un riconoscimento internazionale, una mossa che però nella sostanza non cambia nulla.

Apprezziamo lo sforzo del Presidente Trump nel cercare una via d’uscita al conflitto arabo-israeliano, come apprezziamo l’ottimismo mostrato ieri dopo l’incontro con Abu mazen, tuttavia ci sono ostacoli che nemmeno lui può superare. Noi ne abbiamo elencati solo i quattro principali, ma la situazione è così complessa che ridurre il tutto a pochi punti è davvero riduttivo. La cruda realtà è che con queste condizioni e con le impossibili pretese arabo-palestinesi la pace in Medio Oriente resterà solo un miraggio, una frase buona per i salotti. Sul campo la storia è molto diversa.

Donald Trump lasci perdere le battaglie che non può vincere e si concentri sui veri pericoli per la pace in Medio Oriente, a partire dall’Iran e dallo Stato Islamico che dopo mesi di campagna russa è ancora vivo e vegeto, forse persino più forte, almeno a livello mediatico.