Ieri Banca Mondiale ha annunciato un piano straordinario di aiuti per sostenere le economie di Guinea, Liberia e Sierra Leone messe in ginocchio dall’epidemia di Ebola che, secondo gli analisti di Word Bank, è costata solo in termini di perdite economiche (mancati introiti) qualcosa come 2,2 miliardi di dollari invece dei 1,6 previsti. I morti sono stati oltre 10.000 con interi villaggi spazzati via e con forti ripercussioni sul già fragile sviluppo della regione, specie nella Sierra Leone.
I Presidenti dei tre paesi africani più colpiti da Ebola (Guinea, Liberia e Sierra Leone) sono arrivati a Washington per discutere con Banca Mondiale un piano per il post Ebola consapevoli che dalla comunità internazionale non arriveranno gli aiuti necessari e più volte promessi. L’Unione Europea in occasione della conferenza del 3 marzo scorso dedicata all’emergenza Ebola ha promesso stanziamenti per soli 1,38 miliardi di Euro (342 milioni a carico del bilancio comunitario e il resto suddiviso tra i singoli Stati) ma al momento sono stati impegnati poco meno di un miliardo di Euro più che altro per azioni di emergenza. Nessun impegno è stato preso per il post Ebola, cioè per gli aiuti alla ricostruzione economica e alla ripresa dello sviluppo dei tre Stati Africani. E non che i Paesi extra europei siano andati molto oltre alle promesse. Di aiuti economici se ne sono visti pochi e ancora, a mesi dallo scoppio della epidemia, tanti aiuti sono rimasti solo sulla carta e nessuno, a parte Banca Mondiale, ha considerato gli aiuti post epidemia. A febbraio solo il 40% dei 2,9 miliardi promessi da tutta la comunità internazionale per far fronte all’epidemia erano arrivati a destinazione. Oggi, due mesi dopo, la situazione sembra addirittura peggiorata.
Secondo Banca Mondiale e alcuni esperti dell’Unione Europea, tra i quali il coordinatore per la crisi Ebola, Christos Stylianides, per affrontare concretamente il post Ebola (ripresa e sviluppo) e per creare una struttura di monitoraggio al fine di evitare nuove e devastanti epidemie serviranno circa sette miliardi di dollari, denaro che serve con una certa urgenza ma che sembra la comunità internazionale non sia disposta a versare. Fino ad oggi non si va oltre i tre miliardi di impegni. Un po’ pochini se si pensa che la cifra riguarda ben tre Paesi con un bacino di circa 21 milioni di persone. E se andiamo a paragonare questi dati con quelli della Striscia di Gaza, una enclave con soli 1,8 milioni di persone, per la quale la stessa Comunità Internazionale si è impegnata per 5,4 miliardi di dollari, si capisce come la comunità internazionale usi due pesi e due misure che allo stato attuale rende tutto questo poco comprensibile e persino intollerabile. Basta guardare i numeri per rendersene conto.
Christos Stylianides, nel suo ultimo rapporto che risale a marzo, parla piuttosto velatamente di un maggiore impegno della Unione Europea riguardo alla cooperazione con questi tre Stati colpiti duramente da Ebola ma non tocca, se non di sfuggita, la questione degli aiuti per il post Ebola. Invece in questo momento in cui la gravissima crisi sembra essere al suo epilogo è l’argomento più importante anche in un’ottica di prevenzione della migrazione da quei tre Stati. Tutti sono bravi a dire che per limitare i flussi migratori bisogna aiutare quelle popolazioni a casa loro, ma quando si tratta di farlo veramente nessuno la fa concretamente. E anche sulla differenza di “considerazione” rispetto al cronico problema di Gaza, per altro retta e amministrata da un gruppo terrorista, rispetto a problemi ben più gravi bisognerebbe aprire una riflessione seria perché davvero non se ne può più di vedere queste ingiustizie e questo spreco di denaro a favore dei terroristi quando decine di milioni persone avrebbero veramente bisogno di aiuto.
[glyphicon type=”user”] Scritto da Claudia Colombo
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