I raid aerei israeliani sulla Siria dell’altro giorno hanno aperto una serie di domande sui rapporti tra la Russia e Israele che turbano Teheran. Il silenzio di Putin seguito agli attacchi israeliani a un convoglio di armi diretto a Hezbollah e a un deposito di munizioni dell’esercito siriano è eloquente dell’imbarazzo di Mosca che, secondo fonti di intelligence, è stata presa del tutto alla sprovvista dall’azione israeliana.

L’Iran, gli Hezbollah e il regime di Damasco si aspettavano una netta presa di posizione da parte di Putin, una presa di posizione che però tarda ad arrivare. Non è un caso. Pur non essendoci sulla Siria alcun accordo ufficiale tra la Russia e Israele esiste di fatto un tacito patto di non interferenza messo a punto lo scorso anno da Putin e Netanyahu che prevede, oltre allo scambio di informazioni volto a evitare “incidenti”, libertà di movimento per entrambi in Siria a condizione che le azioni dell’uno non interferiscano con quelle dell’altro e che gli interessi di entrambi vengano salvaguardati. La domanda da porsi allora è: con la sua azione, Israele ha interferito o no con gli interessi russi in Siria?

Non è facile rispondere a questa domanda perché è certamente un interesse strategico russo salvaguardare i rapporti con l’Iran e con gli Hezbollah, ma è altrettanto vero che gli obiettivi colpiti dall’aviazione di Gerusalemme non hanno nemmeno sfiorato quelli indicati a suo tempo da Putin come “intoccabili”, cioè le basi russe e le vie di comunicazione indispensabili al loro mantenimento. Oltre tutto Israele è stato particolarmente attento a usare corridoi liberi per portare i sui attacchi, corridoi che hanno visto i caccia con la Stella di David sorvolare il Libano invece che puntare direttamente gli obiettivi e attaccarli in linea retta. Al limite la cosa che sorprende (e che ha sorpreso anche i russi) è il fatto che i caccia israeliani siano arrivati sugli obiettivi senza che né i radar russi né i sistemi d’arma antiaerei come di S-300 siano riusciti a inquadrare gli aerei israeliani dimostrando come Israele sia in grado di eludere il complesso sistema d’arma posizionato da Putin in Siria, anche se a onor del vero tali sistemi dovrebbero essere posizionati intorno al porto di Tartus e alla base aerea di Hamimim, ma pure l’esercito siriano dispone degli S-300 che però sono stati del tutto inutili.

E ora quello che assorda più di tutto è proprio l’imbarazzato silenzio di Putin, rotto solo in parte da una flebile critica associata però a quelle, immancabili, di Teheran, di Damasco e degli Hezbollah.

Un test israeliano per azioni più incisive?

Molti analisti mediorientali sostengono che il raid aereo israeliano sulla Siria sia stato più che altro un test per valutare l’eventuale risposta russa in vista di una serie di azioni più incisive previste contro le postazioni iraniane e degli Hezbollah sul Golan. In Israele sono tutti molto preoccupati del notevole assembramento di uomini e mezzi iraniani e di Hezbollah in prossimità del confine israeliano, una minaccia su cui Gerusalemme non può certo sorvolare. Se la Russia avesse risposto duramente ai raid aerei israeliani allora a Gerusalemme si sarebbe studiata un’altra strada, ma il silenzio di Putin sulle azioni israeliane sembra essere una sorta di via libera a Gerusalemme. Per questo gli iraniani chiedono a gran voce una ferma presa di posizione da parte di Mosca, una presa di posizione che però a tre giorni dal raid non è ancora arrivata o è arrivata molto flebile, troppo flebile per Teheran.

Scritto da Maurizia De Groot Vos