E se Qassem Soleimani fosse stato ucciso per errore? Se non fosse stato lui l’obiettivo del drone americano ma fosse stato “solo” Abu Mahdi al-Muhandis?

Un colloquio informale con un esponente della intelligence israeliana ci svela che tra gli analisti israeliani questo è un pensiero piuttosto diffuso.

Abu Mahdi al-Muhandis era il vero responsabile degli attacchi alla base K1 di Kirkuk, e sempre lui aveva organizzato l’attacco all’ambasciata americana.

«Questo attacco non rientra nel profilo d’azione del Presidente Trump» ci dice l’analista che per ovvie ragione vuole rimanere anonimo.

«Anche tenendo conto dell’alta imprevedibilità del Presidente Trump, fino ad oggi ha cercato sempre di non alimentare nessuna escalation militare con l’Iran e uccidere il braccio destro di Khamenei equivale quasi a una dichiarazione di guerra» continua.

«Ci sono diverse cose che non tornano» prosegue. «Prima di tutto Soleimani era un uomo molto prudente, non programmava mai i suoi viaggi ma li decideva sempre all’ultimo momento e solo pochissime persone ne erano a conoscenza».

«Sono anni che il Mossad cercava di intercettarlo senza però riuscirci proprio perché Soleimani era una persona estremamente prudente».

«Al contrario Abu Mahdi al-Muhandis era una persona molto sfrontata. Sicuro di essere intoccabile usava telefoni non criptati per comunicare con i suoi uomini e teneva un livello di sicurezza molto basso nonostante la sua posizione».

«In molti hanno l’impressione che i droni americani seguissero Abu Mahdi al-Muhandis, non Qassem Soleimani e che gli americani abbiano colto l’occasione o che addirittura non sapessero che in quell’auto ci fosse anche Soleimani».

«Per intenderci, Qassem Soleimani era in cima alle liste di CIA e Mossad, ma da qui a ordinarne l’omicidio ce ne passa. Non si uccide un uomo di quel calibro senza conseguenze».

Il ragionamento è coerente. Qassem Soleimani non era un capo terrorista ma un uomo di Stato. Non era Osama Bin Laden o Abu Bakr al-Baghdadi, non era Hassan Nasralah ma il comandante di una organizzazione d’elite che fa capo ad uno Stato che per quanto canaglia è sempre legittimo.

«È come se si uccidesse il comandante di un corpo speciale russo o di un altro Stato. Non è una cosa che puoi fare a cuor leggero» continua il nostro interlocutore.

Nelle scorse ore diverse dichiarazioni della Casa Bianca hanno cercato di allentare la tensione sebbene per prudenza il Pentagono ha provveduto a rinforzare la presenza americana in Medio Oriente con l’invio di qualche migliaia di uomini, nulla però che faccia pensare alla preparazione di un conflitto.

Se invece alla Casa Bianca e al Pentagono avessero deciso di uccidere deliberatamente un uomo del calibro di Qassem Soleimani i rinforzi sarebbero stati più massicci e già nell’area.

C’è poi un altro fatto importante. Uccidere Qassem Soleimani senza avvertire Israele, più che probabile obiettivo di una ritorsione iraniana, sarebbe stato inqualificabile. Invece i vertici israeliani hanno appreso della sua uccisione quasi in contemporanea con il mondo. Solo in mattinata Netanyahu ha deciso di interrompere il suo viaggio in Grecia mentre il Ministro della difesa israeliano, Naftali Bennet, ha convocato i vertici militari e della intelligence solo nella tarda mattina. Sono stati chiaramente sorpresi.

Quindi le ipotesi sono due: o gli americani hanno cambiato completamente rotta e sono passati dall’estrema prudenza con l’Iran ad un attacco diretto al regime (perché questo è l’uccisione di Soleimani), oppure l’uccisione del capo della Forza Quds non era prevista.

Rimane il fatto che la prematura dipartita di Qassem Soleimani ha reso il mondo più pulito anche se molto meno sicuro perché, c’è da giurarci, gli iraniani non potranno lasciar perdere. Una ritorsione sarà inevitabile.

Tutto sta nel vedere chi sarà l’obiettivo di questa ritorsione e come verrà portata. Questo farà la differenza tra una guerra devastante e una situazione di perenne tensione ma che non sfocia in un conflitto aperto.