Dopo che per molti anni la Cina ha tenuto un basso profilo sul suo arsenale nucleare, improvvisamente fa sapere di aver deciso di voler fare un notevole upgrade ai suoi missili balistici, un aggiornamento di cui se ne potrebbe avvantaggiare l’Iran che già fa ampio uso della tecnologia cinese per il suo programma di missili balistici a lungo raggio.
Ieri il New York Times ha svelato come Pechino abbia deciso l’aggiornamento dei suoi missili intercontinentali trasformandoli da missili a testata unica a missili in grado di trasportare testate multiple. Il NYT presume che tale decisione sia stata presa come misura di contrasto all’annuncio degli Stati Uniti di voler potenziare il sistema missilistico di difesa nell’area del Pacifico. E fin qui sarebbe anche piuttosto normale, rientrerebbe cioè nell’ottica dell’equilibrio tra grandi potenze, senonché a beneficiare di questo importantissimo upgrade potrebbe essere l’Iran.
I missili iraniani
Fino ad ora il programma missilistico iraniano ha prodotto al massimo due tipi di missili a lungo raggio (circa 2.000 Km) cioè i Sejil e i Ghadr, basati su tecnologia nordcoreana. Già questi missili sono in grado di trasportare una singola testata nucleare o chimica. Ma l’intelligence israeliana da diversi mesi ha avvisato che Teheran sta sviluppando un nuovo missile balistico basato sui vettori cinesi DF-31 in grado di raggiungere distanze variabili tra i 3.000 e gli 8.000 Km. E sarebbero proprio i DF-31 i primi a essere aggiornati per trasportare testate multiple. La coincidenza temporale tra l’upgrade cinese e la disputa in seno alle trattative sul nucleare iraniano in merito al programma balistico di Teheran è quantomeno inquietante proprio perché gli iraniani si stanno basando sulla tecnologia cinese più che su quella nordcoreana (che poi è sostanzialmente la stessa). Non solo, un aggiornamento come quello cinese presuppone che a Pechino abbiano ottimizzato anche il sistema di miniaturizzare le testate atomiche il che ci riporta agli esperimenti iraniani svolti nel sito di Parchin sotto la supervisione di Abdul Qadeer Khan, il padre dell’atomica pakistana. Ora mettete insieme gli esperimenti per la miniaturizzazione delle testate atomiche e la tecnologia per trasportarle a migliaia di Km e il gioco è fatto.
Ipotesi o realtà?
Per essere chiari dobbiamo dire di essere nel campo delle ipotesi e non in quello delle certezze, tuttavia la nostra preoccupazione si basa su fatti verosimili a partire dalla fortissima collaborazione in ambito civile e militare nata tra Teheran e Pechino dopo che il mondo ha imposto le sanzioni all’Iran, collaborazione che ha portato la Cina a diventare il primo cliente del petrolio iraniano in barba alle sanzioni occidentali. Tutte le nuove tecnologie balistiche messe in atto dall’Iran si basano su quelle cinesi e non più (o non solo) su quelle nordcoreane. I nuovi vettori testati di recente dalle Guardie della Rivoluzione iraniana sono sostanzialmente vettori costruiti in Iran con materiale e tecnologia cinese. E se ora Pechino annuncia un upgrade dei sui missili balistici la cosa non può non preoccuparci in prospettiva iraniana.
Per Obama non cambia nulla
La velocità con cui il New York Times, organo di stampa ufficiale di Obama, si è affrettato a collegare l’upgrade cinese alle vicende del Pacifico non fanno altro che confermare i nostri sospetti. Obama non vuole intromissioni quando si trova a un passo dalla conclusione di un accordo con Teheran sul loro programma nucleare, ma ignorare la tempistica di questo aggiornamento e il collegamento con gli esperimenti svolti dagli iraniani a Parchin è una cosa folle, proprio in previsione di un accordo sul nucleare iraniano. Ma è chiaro che per Obama non conta nulla. A lui interessa rimuovere le sanzioni all’Iran proprio per tagliare fuori Pechino dagli affari con Teheran e prenderne il posto. Il problema vero che ne scaturirà peserà poi su Israele e, molto probabilmente, sul prossimo Presidente americano.
[glyphicon type=”user”] Scritto da Adrian Niscemi
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