Come l’Iran intimidisce il Medio Oriente con l’OK dell’occidente

L’Iran è pronto per ulteriori colloqui con l’Arabia Saudita se Riad è disposta a tenere i colloqui in un’atmosfera di comprensione e rispetto reciproci.

A scriverlo è l’agenzia semi-ufficiale iraniana FARS che attribuisce queste parole al boia di Teheran, il serial killer iraniano Ebrahim Raisi, pronunciate durante una telefonata con il Primo Ministro iracheno, Mustafa al Kadhimi.

Iran e Arabia Saudita avevano già avviato colloqui diretti tenutesi a Baghdad, in Iraq, al fine di normalizzare i rapporti tra quelle che sono a tutti gli effetti i due maggiori rappresentanti dell’Islam sciita (l’Iran) e di quello sunnita (l’Arabia Saudita).

In particolare i colloqui avevano avuto una accelerazione dopo gli attacchi dei ribelli Houthi contro le più importanti infrastrutture petrolifere saudite e più ancora dopo l’attacco alla Saudi Aramco.

Sebbene questi attacchi siano stati attribuiti ai ribelli Houthi dello Yemen, è noto a chiunque segua le vicende mediorientali che parlare di ribelli Houthi equivale a parlare dell’Iran.

La stessa cosa vale per gli attacchi che sempre i ribelli sciiti dello Yemen hanno portato agli Emirati Arabi Uniti. Sono attacchi attribuibili a Teheran ed è emblematico che la comunità internazionale non lo riconosca e taccia sulle responsabilità iraniane in merito a questi attacchi ad uno stato sovrano.

L’Iran sta bullizzando il Golfo Persico tramite il suo braccio armato nella regione, cioè i ribelli Houthi, e minaccia chiunque ritenga che nello Yemen vi sia un governo regolare e che i ribelli sciiti siano una forza terroristica che cerca per conto di Teheran di prendere il potere.

E quando le minacce non bastano, come veri e propri mafiosi passano direttamente ai fatti lanciando pericolosissimi attacchi con missili balistici e droni che gli Ayatollah forniscono senza parsimonia ai ribelli sciiti dello Yemen, costringendo così chi sostiene il regolare governo dello Yemen a fare marcia indietro.

È il “sistema Hezbollah”, quel sistema cioè usato dall’Iran per controllare il Libano e la Siria attraverso gruppi terroristici pesantemente armati, veri e propri eserciti sostenuti finanziariamente e militarmente da Teheran che però ufficialmente agiscono in modo autonomo.

Naturalmente tutti sanno che non agiscono in modo autonomo ma che sono agli ordini diretti dell’Iran, tuttavia nessuno lo dice apertamente, un po’ perché bullizzato da Teheran e quindi intimorito, un po’ perché fa sempre comodo una forza che agisce contro Israele e i suoi potenziali alleati.

Ed è proprio sotto questo ultimo aspetto che le cose stanno cambiando nel Golfo Persico. Gli Stati Arabi del Golfo hanno capito che l’unico modo per non essere bullizzati dall’Iran – e quindi di non finire sotto il controllo degli Ayatollah – è una alleanza a tutto campo con Israele.

Non una alleanza segreta e a seconda delle esigenze del momento come succedeva fino a poco tempo fa, ma una vera e propria alleanza strategica alla luce del sole, con tutto quello che ciò comporta, compresa la rinuncia da parte araba a seguire ancora l’ormai vetusta e dannosa vicenda palestinese (cosa per altro ormai chiara sin dal lontano 2017).

Manca solo l’Arabia Saudita per chiudere il cerchio degli Accordi di Abramo e formare così una vera alleanza militare tra Israele e Stati Arabi, dove per “Stati Arabi” non si intendono solo gli Stati del Golfo Persico. Una firma dei sauditi si tirerebbe dietro tutto il mondo arabo.

Per l’Iran e per il suo progetto egemonico sarebbe la fine. Ed è per questo che Teheran cerca in ogni modo di mettersi di traverso, anche a costo di far pagare alla innocente popolazione yemenita il prezzo di questa insensata politica.

D’altronde gli iraniani sono abituati a far pagare il prezzo delle loro politiche egemoniche alle popolazioni innocenti. Basti vedere cosa succede in Libano. E perché non guardare come hanno fatto gli Ayatollah a mettere le mani sull’Iraq? Ora qualcosa a Baghdad sta cambiando, ma sono ancora gli iraniani a dettare l’agenda politica irachena. E sarà il popolo iracheno a farne le spese.

Ora, si guardi il quadro generale in cui si muovono gli iraniani (e manca quello sudamericano) e mi si dica che i colloqui di Vienna per riaprire il JCPOA, cioè l’accordo sul nucleare iraniano, sono colloqui con un paese pacifico e degno di fiducia e non con un regime dispotico che assoggetta intere nazioni al raggiungimento dei suoi obiettivi geostrategici e ne condiziona pesantemente la vita e il futuro.

No perché il mondo libero di deve decidere, dobbiamo scegliere da che parte stare nel complesso quadro mediorientale.

Nessuno nega che anche i paesi arabi siano ben lungi dall’essere delle democrazie. Nessuno nega che l’Arabia Saudita sia un regno di morte degno del maligno come l’Iran. Ma se fare buona politica significa riuscire a guardare il futuro e interpretarlo, l’occidente non può non vedere il cupo futuro che aspetta un Medio Oriente nelle mani degli Ayatollah. E il passo dal Medio Oriente all’Europa è davvero breve.

Franco Londei

Esperto di Diritti Umani, Diritto internazionale e cooperazione allo sviluppo. Per molti anni ha seguito gli italiani incarcerati o sequestrati all’estero. Fondatore di Rights Reporter

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