Continua e, anzi, aumenta il boicottaggio dei prodotti israeliani prodotti in Giudea e Samaria. Ieri abbiamo parlato del rischio di licenziamento per 25.000 operai palestinesi affermando, giustamente, che il boicottaggio finisce per danneggiare proprio i palestinesi. Oggi vogliamo fare una proposta che, se vogliamo, è un po’ provocatoria: perché al posto dei palestinesi le aziende israeliane non fanno lavorare gli immigrati africani?
Una scelta del genere risolverebbe diversi problemi. In primo luogo le aziende israeliane smetterebbero di sfamare chi le vuole boicottare, cioè i palestinesi e tutti i loro sostenitori. In secondo luogo, dato che nei mesi scorsi non sono mancate le polemiche per i rimpatri di immigrati clandestini, si potrebbe dare a questa gente la possibilità di lavorare e quindi di essere autosufficiente e in regola. In terzo luogo si invierebbe un messaggio chiaro e coinciso sia ai boicottatori che agli odiatori (che poi sono più o meno la stessa cosa) e cioè che Israele non è più disposto a sottostare ai loro ricatti e che se vogliono mangiare non dovranno più aspettarsi niente dalle aziende israeliane. Tanto alla fine le odiano lo stesso anche se sfamano le loro famiglie.
Le aziende israeliane sono piene di lavoratori palestinesi, gli ospedali israeliani curano i palestinesi, a Gaza Israele porta aiuti umanitari anche se piovono missili su Israele con frequenza quotidiana, le università israeliane istruiscono i palestinesi, Abu Mazen fa tutto il contrario di quello che ci vorrebbe per arrivare a una pace giusta. E potrei continuare per ore. Perché, come si dice in Italia, dobbiamo essere cornuti e mazziati? Ci odiano? Bene, nessuna novità. Ma almeno non alimentiamo il loro odio con i nostri shekel.
Sarah F.