In Israele stanno montando le critiche verso il Governo del premier Benjamin Netanyahu. Da giorni i terroristi di Hamas stanno scatenando un vero e proprio inferno nel sud del Paese attraverso l’uso di aquiloni incendiari ma il Governo sembra rimanere sostanzialmente immobile.
Qualcuno, come l’editorialista di Yedioth Ahronoth, Daniel Friedmann, sostiene che fino ad oggi la risposta di Israele è stata troppo blanda. L’IDF ha bombardato diversi obiettivi di Hamas come ritorsione per gli attacchi missilistici, ma non un solo terrorista di Hamas è stato colpito nei raid. Nessuna ritorsione invece per i devastanti aquiloni incendiari.
Friedmann rimprovera a Netanyahu e al Ministro della Difesa, Avidgor Lieberman, di non combattere Hamas in maniera adeguata. Li accusa di temere la ripresa di un massiccio lancio di missili sulle città israeliane, anche su quelle più lontane da Gaza. Non li accusa proprio di codardia ma poco ci manca.
In realtà il problema non è così semplice come lo fa l’editorialista di Yedioth Ahronoth. Il rischio che Hamas cerchi proprio l’escalation è molto concreto e se è vero che gli israeliani sono molto attenti alla difesa del loro popolo, è altrettanto vero che i terroristi di Hamas non vedono l’ora di avere decine e decine di “martiri” da usare per la loro subdola propaganda. Ad Hamas della vita dei loro cittadini non importa nulla, anzi, più “martiri” ci sono più ci guadagnano.
Su questo molte colpe le ha anche l’occidente che con il suo ambiguo comportamento sempre pronto a condannare le legittime reazioni israeliane sta sostanzialmente favorendo la tattica di Hamas.
Non è quindi facile per Netanyahu o per Lieberman ordinare una qualsiasi risposta militare ben sapendo che ogni vittima civile si trasformerà in un’arma contro Israele ben più pericolosa dei missili.
Ma l’alternativa c’è. I boss di Hamas temono solo due cose: la prima è la perdita di potere sulla ormai esausta popolazione di Gaza, dove per perdita di potere si intende anche quello economico. Perdere le loro belle ville, i loro soldi e tutti i loro lussi per i boss di Hamas potrebbe essere molto difficile da digerire. Il secondo timore è quello di perdere la vita, perché fino a quando a fare la parte di “martiri” sono i cittadini di Gaza va bene, ma quando si affaccia il rischio che ad essere “martirizzati” siano i boss di Hamas il discorso cambia.
Ora, c’è un “non detto” tra Israele ed Egitto che in sostanza impegna gli israeliani a non mettere nel mirino i boss di Hamas. Secondo gli egiziani colpire i vertici del gruppo terroristico sarebbe deleterio per qualsiasi futura trattativa. Adesso però il discorso potrebbe cambiare. Il Premier israeliano sotto forte pressione interna per la sostanziale immobilità di fronte a quanto succede nel sud di Israele, potrebbe decidere che sia arrivato il momento di lanciare un messaggio importante ai boss di Hamas e di ordinare di mettere nel mirino la dirigenza del gruppo terrorista.
E’ più che probabile che il Mossad conosca vita, morte e miracoli di questi vigliacchi che si nascondono nei cunicoli di Gaza e che usano la popolazione civile come un’arma, non sarebbe quindi un grosso problema individuarne un paio attraverso i quali lanciare ai boss di Hamas un messaggio inequivocabile: se continui per questa strada il risultato sarà la tua eliminazione. E non è detta che tutto ciò debba avvenire per forza a Gaza visto che molto spesso i boss di Hamas a Gaza non ci abitano ma vivono all’estero (Turchia, Libano, Tunisia, Algeria).
Forse è arrivato il momento di uscire da quel “non detto” con gli egiziani e di usare l’unica lingua che i terroristi comprendono: quella di trasformarli in un target. L’alternativa è un attacco massiccio a Gaza ma forse è proprio quello che vogliono i boss di Hamas e sinceramente di far loro un favore non mi sembra proprio il caso.