medio-oriente

Non finiremo mai di ripeterlo: in Medio Oriente nulla è mai come appare. Lo scontro sempre più aperto tra Iran e Arabia Saudita è solo l’ultimo tassello di una situazione geopolitica molto complessa che vede un generale riassetto dei pesi politico-militari nella regione e delle alleanze (palesi o meno).

Per cercare di capire quanto sia complessa la geopolitica mediorientale dobbiamo partire dalle basi, cioè dagli schieramenti in campo cercando di essere il più possibile semplici (senza cioè andare troppo a fondo nelle spiegazioni).

I blocchi che si confrontano sono fondamentalmente tre e la partita a scacchi si disputa quasi esclusivamente a cavallo tra Siria e Iraq. Il primo blocco è composto dalle forze sunnite rappresentate in Primis dall’Arabia Saudita, dalla Turchia e dal Qatar con l’aggiunta degli altri Paesi del Golfo. Il secondo blocco è quello sciita rappresentato da Iran, da Hezbollah e dalla Jihad Islamica. Il terzo blocco è quello dello Stato Islamico che potrebbe essere tranquillamente inserito nel blocco sunnita se non fosse che, a parole, anche il blocco sunnita dice di voler combattere il Califfato. In mezzo a questi tre blocchi si muovo le altre importanti componenti dell’area mediorientale, prima di tutto Israele, ma anche Egitto e Giordania che fino ad oggi non hanno mai preso una posizione smaccata a favore dell’uno o dell’altro se non contro lo Stato Islamico. Come “contorno” ci sono poi le decine di gruppi terroristici che aderiscono alla causa sunnita, a quella sciita o a quella dell’ISIS con la distinzione di Hamas e degli altri gruppi palestinesi che per varie ragioni tengono saldamente i piedi su tutte e tre le staffe.

Israele e blocco sunnita uniti contro l’Iran

Se c’è una cosa certa è che sia il blocco sunnita che Israele considerano l’Iran il vero nemico, prima ancora dell’ISIS e dei vari gruppi terroristici. Da questa base dobbiamo partire per cercare di decifrare quello che sta avvenendo dietro alle quinte della complessa situazione in Medio Oriente. Negli ultimi mesi ci sono stati decine e decine di incontri tra emissari dell’Arabia Saudita e di Israele. Per la prima volta nella storia degli ultimi 70 anni gli arabi hanno ammesso di “parlare” con Israele. Il “miracolo” lo ha fatto l’accordo sul nucleare iraniano il quale ha innalzato notevolmente la percezione del “pericolo iraniano” da parte del blocco sunnita e di Israele costringendo i vecchi nemici a studiare una strategia comune per arginare l’espansionismo iraniano. Sono molti i segnali di questo accordo non scritto tra vecchi nemici. Il taglio degli aiuti ai palestinesi da parte dei Paesi arabi, il fortissimo riavvicinamento della Turchia a Israele (Erdogan ancora l’altro ieri diceva alla stampa quanto fosse importante Israele per la Turchia e per la regione), gli accordi per la ricostruzione di Gaza, la lotta comune di Israele ed Egitto ad Hamas ecc. ecc. Ma il fatto più importante, anche se meno evidente, è la collaborazione di Israele con i gruppi resistenti siriani che operano nel Golan siriano. La feroce battaglia tra ribelli ed esercito siriano che proprio in queste ore si sta combattendo per il controllo della regione di Quneitra, fondamentale per il controllo del Golan, è qualcosa che va oltre lo scontro tra resistenza siriana e regime di Damasco sostenuto da forze iraniane, è forse la prima vera battaglia “quasi diretta” tra blocco sunnita e Israele da un lato e blocco sciita dall’altro, una battaglia che rischia di diventare veramente diretta se i pasdaran iraniani che combattono con il regime siriano dovessero prendere stabilmente piede nella regione del Golan.

Il blocco sciita e le alleanze con i terroristi

Dal canto suo l’Iran, capofila del blocco sciita, non sta certo a guardare e forte dell’accordo sul nucleare e del relativo sblocco di miliardi di dollari, fa quello che sa fare meglio cioè finanzia i gruppi terroristici che combattono contro Israele e le forze sunnite. Per quanto riguarda la guerra a Israele, Hezbollah è senza dubbio l’esempio più eclatante ma ci sono anche la Jihad Islamica, Hamas e recentemente anche Al Fatah. La battaglia contro i sauditi e le forze sunnite si concentra invece sullo Yemen con Teheran che arma e finanzia i ribelli Houthi mentre nel conflitto in Siria l’Iran è impegnata direttamente con migliaia di militari sul terreno, ma non contro l’ISIS come vanno raccontando gli Ayatollah, ma contro i gruppi ribelli non legati allo Stato Islamico. L’Iran in effetti non ha mai combattuto l’ISIS né in Siria né in Iraq, lo ha solo usato per ergersi a finto baluardo contro l’avanzata dello Stato Islamico e strappare l’accordo sul nucleare, e Obama (consapevolmente o meno) c’è caduto.

I battitori fuori campo, i peshmerga curdi iracheni

Un discorso a parte andrebbe fatto per i peshmerga curdi dell’Iraq (non quindi il PKK) anche se è una cosa che affronteremo nel dettaglio tra qualche giorno. Brevemente, i peshmerga curdi iracheni combattono per se stessi e non sono quindi inquadrabili in nessuno degli schieramenti sopra citati. Sono gli unici che sul campo hanno ottenuto risultati tangibili contro l’ISIS. Ben addestrati (si dice dagli israeliani) e sufficientemente armati, puntano a creare uno stato curdo in Iraq e si muovo solo in questo contesto rimanendo fuori dallo scontro tra sciiti e sunniti. Sono battitori fuori campo a tutti gli effetti che operano in Iraq e in Siria in maniera indipendente dal PKK e dagli altri gruppi curdi. Ma il discorso è lungo e complesso, come detto lo affronteremo in seguito.

Scritto da Paola P.