Ultimamente troppo spesso si tende a giudicare un politico non per quello che fa o non fa, ma per la sua appartenenza politica.

Se si è di sinistra si giudica negativamente qualsiasi cosa faccia un politico di destra e, viceversa, se si è di destra si giudica negativamente qualsiasi cosa faccia un politico di sinistra. Si è perso il senso dell’obbiettività.

Il caso di Trump e della sua politica in Medio Oriente è indicativo di questa linea di pensiero. Da destra considerano ottimo tutto quello che fa il Presidente USA mentre da sinistra viene criticata qualsiasi decisione lui prenda.

Fa eccezione forse l’uccisione di Qassem Soleimani che, esclusi gli antisemiti patologici (di destra e di sinistra), ha messo d’accordo tutti.

Se lasci terreno libero qualcuno prenderà il tuo posto

Durante la campagna elettorale Donald Trump aveva promesso ai suoi elettori il ritiro delle truppe americane dai teatri di guerra in Medio Oriente e, coerentemente con quella promessa, lo ha fatto o almeno si è disimpegnato su diversi fronti.

Il problema, che sicuramente aveva sottovalutato, è che quando lasci terreno libero c’è sempre qualcuno pronto a prendere il tuo posto. Lo abbiamo visto in Siria ma soprattutto in Iraq e in Afghanistan.

Ad approfittarne sono stati i russi e gli iraniani (in parte, soprattutto in Siria, anche la Turchia di Erdogan).

Oggi in Siria i due attori protagonisti sono Russia e Iran. Soprattutto gli iraniani hanno una significativa presenza militare (anche attraverso vari proxy) e se non fosse stato per la “politica preventiva” portata avanti da Israele, oggi Teheran avrebbe una presenza militare ancora più importante.

L’Iraq è praticamente in mano alle bande armate legate a Teheran se si esclude la zona del Kurdistan iracheno, fortunatamente saldamente in mano ai Peshmerga curdi.

Affermare che la legittima scelta di disimpegnarsi da questi teatri è stata politicamente e strategicamente un errore non è quindi un attacco a Trump, è semplicemente la verità dei fatti.

Israele meno al sicuro

Di fatto oggi Israele è meno al sicuro di quanto non lo fosse prima del disimpegno americano. L’Iran, anche attraverso i suoi proxy, minaccia Israele con decine di migliaia di missili posizionati tutti intorno allo Stato Ebraico. Teheran ha ripreso a pieno ritmo anche il suo programma nucleare tanto che, secondo l’intelligence israeliana, entro 12/24 mesi potrebbe avere l’atomica.

Quello delle sanzioni all’Iran e della supposizione che tali sanzioni avrebbero piegato gli Ayatollah, è stato forse l’errore più grande commesso da Trump. Nella realtà non solo le sanzioni non hanno intaccato i progetti iraniani, ma se possibile li hanno rafforzati.

Il problema saudita e dei Paesi del Golfo Persico

Un altro grosso errore commesso da Trump legato alla sua politica in Medio Oriente è quello di aver dato la sensazione di non poter (o di non volere) difendere i propri alleati regionali.

La mancata reazione agli attacchi iraniani alle petroliere, all’abbattimento di un drone e al devastante attacco missilistico contro le infrastrutture saudite ha instillato nelle monarchie del Golfo l’idea di non poter contare sull’alleato americano.

Se si esclude l’eliminazione di Soleimani, Donald Trump ha dato una marcata sensazione di debolezza nei confronti di Teheran, sensazione ancora più marcata quando non ha reagito nemmeno all’attacco diretto contro le basi USA in Iraq.

Non è un caso che oggi si vociferi di contatti diretti tra l’Arabia Saudita e l’Iran per trovare una soluzione comune che garantisca sicurezza di navigazione nel Golfo Persico. Uno scenario inimmaginabile prima degli attacchi iraniani.

Le luci

Certo, non ci sono solo ombre nella politica di Trump in Medio Oriente. Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, l’attestazione che il Golan è parte di Israele e, soprattutto, la demolizione minuziosa della cosiddetta “causa palestinese” non posso che essere considerati dei successi. Fino ad oggi nessun Presidente americano aveva osato tanto. Questo coraggio gli va riconosciuto senza se e senza ma.

Temo tuttavia che queste poche luci non bastino a compensare quelli che oggettivamente sono stati errori macroscopici che oggi pesano come macigni, soprattutto su Israele.

Nessuno chiaramente mette in dubbio l’affetto del Presidente americano verso lo Stato Ebraico, ma un conto è l’affetto, un conto sono i risultati oggettivi.

E se guardiamo la situazione nel suo complesso non possiamo non notare come certe decisioni di Trump abbiano oggettivamente pesato molto sul peggioramento della situazione in Medio Oriente.