Dopo lo show offertoci dall’incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin, dopo la ritrattazione del Presidente americano in merito alle sue affermazioni sul ruolo della Russia nelle elezioni americane, finite le sparate propagandistiche sui media, in Medio Oriente si torna come sempre con i piedi in terra e a fare i conti con la realtà.
Ho letto con attenzione l’analisi scritta ieri dalla nostra Maurizia De Groot Vos e per una volta non mi trovo molto d’accordo con lei, soprattutto per quanto riguarda l’analisi ottimistica che fa dell’incontro tra Trump e Putin.
Forse dipende dal fatto che nonostante tutto mi fido poco di Trump e meno ancora di Putin, forse dipende dal fatto che non credo che gli iraniani si facciano imporre qualcosa dalla Russia (in questo caso il ritiro dalla Siria) né credo che a Teheran rinunceranno tanto facilmente al loro programma nucleare. Non ci credevo con l’accordo stretto da Obama e non ci credo ora che quell’accordo sta per saltare. Oppure dipende dal fatto che non penso che Hamas ed Hezbollah rinunceranno a minacciare Israele perché dovrebbero rinunciare alla loro stessa ragione d’esistere. Sarà per tutto questo che preferisco volare basso e guardare ai fatti in Medio Oriente con molto realismo e poco ottimismo.
E cosa ci dice il crudo realismo? Prima di tutto ci dice che dopo aver lottato per anni in territorio siriano, perdendo migliaia di uomini, né Hezbollah né l’Iran rinunceranno alla loro presenza in Siria solo perché glielo chiede Putin. A Teheran avevano un piano preciso quando hanno deciso di soccorrere Assad, quello di creare il cosiddetto “corridoio sciita” che va da Teheran al Mediterraneo, ma soprattutto avevano in mente di portare le loro truppe a un tiro di missile da Israele. Se qualcuno crede che rinuncino a tutto questo dopo aver combattuto per anni e perso migliaia di uomini pur di arrivarci allora quel qualcuno viene da un altro pianeta.
Il realismo ci dice anche che Iran e Israele sono da diverso tempo in una sorta di “guerra non dichiarata” che per il momento si combatte in territorio siriano. Credere che gli iraniani, che come principale obiettivo hanno quello di distruggere Israele, rinunciano all’enorme vantaggio strategico ottenuto dal loro intervento in Siria è semplicemente folle, un qualcosa che va molto oltre l’ottimismo. E sinceramente penso che non ci credano nemmeno a Gerusalemme.
Il realismo ci dice ancora che Hamas non fermerà le sue provocazioni e attacchi contro Israele semplicemente perché non può farlo se vuole continuare ad esistere. Esattamente come gli Hezbollah, i terroristi di Hamas esistono per un solo scopo: attaccare Israele con l’intenzione di distruggerlo. Puoi offrire loro qualsiasi piano di pace, qualsiasi vantaggio per la popolazione civile o per il futuro, il loro obiettivo non cambia. E’ una mentalità inculcata nelle loro menti sin da quando erano in fasce e non la cancelli con un colpo di spugna o con un programma di sviluppo per Gaza. Ad Hamas del futuro di Gaza non interessa nulla.
Insomma, il realismo ci porta molto lontani dalle analisi ottimistiche in merito ad accordi veri o presunti tra Putin e Trump sul Medio Oriente, accordi che anche se ci fossero si scontrerebbero proprio con la cruda realtà del terreno e della realpolitik.
Ma c’è un’altra cosa che il realismo ci sussurra all’orecchio, una cosa di cui non si sta parlando anche se forse rappresenta il pericolo maggiore per la stabilità in Medio Oriente e persino in Europa: il problema Turchia. Con tutto il rispetto che si deve alla minaccia iraniana, quella turca mi appare molto ma molto più seria. Forse non oggi, non nell’immediato, ma Erdogan ha un piano in mente che insieme alla Fratellanza Musulmana sta portando avanti da anni, un piano che non poteva prescindere dall’avere il totale controllo della Turchia. Un primo step riuscito in pieno. Ora sta puntando alla Striscia di Gaza e indirettamente a Gerusalemme. Ma il piano di Erdogan è articolato e soprattutto a medio-lungo termine, un piano che non interessa solo il Medio Oriente ma si spinge in Africa e in Europa. Quella di Erdogan è una vera e propria partita a scacchi e come tale il Califfo turco la sta giocando. Truppe turche sono in Somalia, in Eritrea e probabilmente in Sudan. Con alcune ONG sta infiltrando l’Europa attraverso la porta dei Balcani e attraverso una serie impressionante di associazioni islamiche sparse in tutta Europa (Italia compresa) sta piantando le fondamenta del “nuovo islam” nel vecchio continente.
Realisticamente non c’è quindi di che essere ottimisti per quanto riguarda le vicende in Medio Oriente. A prescindere da quello che si sono detti Trump e Putin e dai loro desiderata, Iran, Hezbollah, Hamas e Turchia continueranno per la loro strada, così come farà Israele per difendersi. Lo show è finito, si torna alla realtà.