La partita strategica in Medio Oriente si gioca tutta attorno ad Assad e alla sua permanenza alla guida della Siria. Lo ricorda l’editorialista di Salom, Karel Valansi, con un editoriale nel quale spiega i motivi per cui Hezbollah sta rischiando il tutto per tutto pur di salvare il dittatore siriano.
La nascita dello Stato Islamico – ISIS – è stata altamente funzionale agli scopi strategici di Russia e Iran in quanto è stata la molla che ha fatto scattare il sostegno armato, politico e strategico al regime di Bashar al-Assad e ha consentito a Mosca e a Teheran di portare le loro truppe, o le truppe dei gruppi a loro affigliati come Hezbollah, direttamente in Siria. E’ vero che Russia e Iran hanno obiettivi diversi in Siria ma al momento quegli obiettivi sono funzionali l’uno all’altro. Forse è per questo che ISIS è riuscito a sopravvivere così a lungo nonostante avesse di fronte eserciti come quello russo, quello iraniano e le milizie di Hezbollah. Se venisse meno lo Stato Islamico verrebbe meno anche la necessità per Mosca e Teheran di mantenere le loro truppe in Siria.
E’ pur vero che nella realtà sia i russi che gli iraniani appoggiati da Hezbollah, hanno combattuto più gli altri gruppi ribelli che l’ISIS, ma la scusa ufficiale per la loro presenza in Siria è sempre stata quella di combattere lo Stato Islamico.
Ora, cosa succederebbe se la minaccia dello Stato Islamico venisse meno? A questo punto probabilmente né la Russia né l’Iran ritirerebbero le loro truppe dalla Siria, vuoi perché non c’è solo ISIS che rappresenta una minaccia per il regime di Assad, vuoi perché soprattutto l’Iran ed Hezbollah hanno investito tantissimo, sia in denaro che in termini di perdite umane, pur di creare una linea diretta via terra tra Teheran e Beirut. Ma la condicio sine qua non per la loro permanenza in Siria e quindi per l’implementazione del loro piano rimane il mantenimento del potere da parte di Assad, almeno per quella parte della Siria indispensabile a unire l’Iran al Libano.
Tutto questo a Teheran lo sanno benissimo per questo la diplomazia iraniana sta lavorando alacremente per convincere la diplomazia internazionale a togliere il veto alla permanenza di Assad al potere. Già il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha fatto sapere che per quanto riguarda la Francia la rimozione di Assad non è più una priorità. L’Europa è allineata su questa linea già da diverso tempo e persino la Turchia comincia a pensare alla permanenza di Assad a Damasco come una eventualità da non scartare a priori, seppure a determinate condizioni. A volere la caduta di Assad rimangono quindi gli Stati arabi del Golfo, gli Stati Uniti e forse Israele, dico forse perché ufficialmente lo Stato Ebraico non ha mai preso posizione su Assad anche perché era meglio avere un nemico debole alle porte piuttosto che un nemico temibile. Il problema però è che questo discorso poteva valere prima che l’Iran ed Hezbollah si posizionassero quasi ai confini con Israele. E la loro permanenza in quello scacchiere è legata direttamente alla sopravvivenza di Assad. Ecco perché Israele di recente è diventato molto più duro nei confronti di Assad e del suo esercito. Probabilmente a Gerusalemme hanno realizzato che la presenza iraniana sul Golan e la permanenza al potere di Assad sono direttamente legate.
Ora però i tempi stringono. L’Iran sta accelerando il suo posizionamento in Siria e moltiplica gli sforzi per mantenere Assad al potere. Gli attacchi ai gruppi ribelli siriani posizionati nei punti strategici per Teheran si stanno moltiplicando. ISIS viene sostanzialmente ignorato salvo quando occupa quei territori necessari agli iraniani per creare il famigerato corridoio con il Libano. La divisione della Siria in aree di influenza non è più un tabù purché a Damasco rimanga Assad in modo da garantire legittimazione alla presenza russa e iraniana in Siria. Pure la Turchia si trova d’accordo con questa linea a condizione che possa espandere la sua influenza sul Kurdistan siriano.
Cosa ci aspetta quindi adesso? Probabilmente ci aspetta una accelerazione sia sul fronte della guerra allo Stato Islamico, più che altro da parte della coalizione a guida americana, che sul fronte della guerra alla galassia dei gruppi ribelli siriani non legati a ISIS, una guerra tutta iraniana (sempre con il costante aiuto di Hezbollah). Da un lato si vogliono chiudere i conti con lo Stato Islamico per togliere legittimità alla presenza russo-iraniana in Siria. Dall’altro si vuole invece prendere possesso stabilmente di quei territori indispensabili a Teheran per portare a compimento il piano degli Ayatollah. Ma per farlo Assad deve rimanere a Damasco.
Ecco perché se fino ad oggi Israele si è tenuto alla larga dal pantano siriano e sostanzialmente non ha mai fatto nulla per abbattere Assad, ora non può più farlo. Il rischio che l’esercito iraniano (o chi per lui) si posizioni stabilmente al confine con Israele e che riesca a creare quel pericolosissimo corridoio tra Teheran e Beirut è troppo forte per essere sottovalutato. Ora per Israele la caduta di Assad diventa quindi quasi una priorità.