«Non ha senso parlare di pregiudizi religiosi: si tratta di una questione di razza», questo scriveva nel 1873 in un opuscolo intitolato “la vittoria dell’ebraismo sul germanesimo” un certo Wilhelm Marr.
Ex impiegato in una ditta di export con padroni ebrei e successivamente licenziato, Marr a stento si guadagnò da vivere come pubblicista con scarso successo. Dopo la morte della sua seconda moglie ebrea che lo sosteneva finanziariamente Marr ebbe un terzo matrimonio con una mezzo ebrea dalla quale ebbe un figlio. A seguito del divorzio la sua situazione economica peggiorò dati gli obblighi agli alimenti che dovette versare e al quale Marr attribui tutte le sue ristrettezze economiche.
Da questi sfortunati episodi personali Marr ricavò la sua regola generale contrapponendo gli ebrei ovvero i responsabili di tutti i problemi della nazione, non ai cristiani, ma ai tedeschi. La sua avversione non era basata su elementi religiosi ma sulla lotta fra le razze che Marr considerava incompatibili.
Un personaggio insignificante e pieno di livore per le sue sfortune personali; ma perché lo ricordiamo? Perché è importante? Perché fu lui ad usare e a coniare per la prima volta nella storia la parola antisemitismo, con la fondazione della lega antisemita nel 1879.
Come antisemitismo non era intesa alcuna avversione per arabi o per i semiti in generale, ma solo ed esclusivamente come avversione verso gli ebrei. E questo significato è sempre stato mantenuto nell’uso delle varie lingue e nei rispettivi dizionari dove l’oggetto dell’antisemitismo sono solo gli ebrei.
E’ quindi ridicola e priva di significato la giustificazione o la minimizzazione dell’antisemitismo arabo con slogan del tipo: “non siamo antisemiti perché anche noi siamo semiti” pronunciati da parte di esponenti arabi stessi dopo i gravissimi fatti di Milano.
Qualsiasi risposta di questo formato puzza di antisemitismo oltre che impregnata di ignoranza storica.
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