Fonti qualificate della intelligence israeliana sono certe che entro la fine del 2020 l’Iran avrà abbastanza uranio altamente arricchito per costruire un singolo ordigno atomico.
Tuttavia le stesse fonti affermano che Teheran non avrebbe ancora la capacità tecnologica per miniaturizzare una testata atomica e poterla lanciare con uno dei tanti missili balistici di cui è in possesso.
Una accelerazione si potrebbe avere se gli iraniani usassero tecnologia nord-coreana come hanno già fatto in passato per costruire i loro missili, in particolare il Musudan, il Khorramshahr, l’Emad e lo Shahab-3, tutti in grado di colpire Israele e di montare testate atomiche.
Questa possibilità apre un dilemma di non poco conto. In una intervista sulla rete TBN il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha detto che per evitare un nuovo olocausto ebraico l’Iran deve essere fermato prima che raggiunga l’atomica.
«Auschwitz ci ha insegnato che le cose brutte vanno fermate prima che diventino troppo grosse per essere fermate» ha detto Netanyahu.
«Già adesso l’Iran non è un pericolo così piccolo ma penso che potrebbe diventare un grandissimo pericolo se arrivasse ad avere l’atomica» ha poi continuato il Premier Israeliano.
Il succo del discorso è quindi che l’Iran deve essere fermato adesso. Non tra un anno, non tra sei mesi ma adesso.
Ma come fare per fermarlo? Un bombardamento sulle centrali atomiche iraniane, con tutte le difficoltà logistiche del caso, sembra l’unica soluzione a breve termine anche se con molta probabilità non fermerebbe del tutto il programma nucleare iraniano, ma lo rallenterebbe sicuramente.
Il problema è che una azione del genere, tutt’altro che improbabile, scatenerebbe su Israele una pioggia di missili mai vista prima, uno scenario da incubo ben descritto dall’ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Michael Oren.
Israele rallenterebbe sicuramente la corsa all’atomica iraniana, ma si ritroverebbe sotto attacco multiplo nel giro di poche ore.
Uno dei piani presentati a Netanyahu prevede un attacco preventivo volto a “indebolire” i proxy iraniani (soprattutto Hezbollah) poche ore prima di colpire le centrali iraniane o addirittura in contemporanea. Ma la fattibilità del piano appare piuttosto ardua. Bisognerebbe colpire obiettivi multipli in Libano, Siria e nella Striscia di Gaza con un rischio elevatissimo di fare vittime civili.
E poi c’è un altro problema. Gli americani, almeno fino alle elezioni presidenziali del 3 novembre 2020, non sembrano intenzionati ad una escalation con l’Iran, cosa che invece avverrebbe nel caso di un conflitto tra Teheran e Gerusalemme.
Cosa comporta questo? Comporta che con molta probabilità il Presidente Trump cercherà di impedire un attacco israeliano alle centrali atomiche iraniane prima della sua possibile rielezione. E non è un problema da nulla. Difficilmente Netanyahu (o chi per lui) ordinerà un attacco all’Iran senza un chiaro avvallo americano. Un avvallo che al momento sembra essere escluso.
Ora si può capire meglio qual’è il dilemma della dirigenza israeliana. Aspettare novembre con il rischio che gli iraniani possano far detonare la loro prima atomica o addirittura – con l’aiuto nordcoreano – riuscire a miniaturizzare una testata nucleare, oppure agire subito ma senza l’avvallo americano?
I tempi forniti dall’intelligence israeliana vengono giudicati attendibili anche se con una possibilità di errore, in più e in meno, pari al 10%. Ciò significa che l’Iran potrebbe avere abbastanza uranio altamente arricchito già da novembre o, nella migliore delle ipotesi, a Gennaio.
A forza di aspettare e di rinviare siamo arrivati al margine della “linea rossa” e ora ci troviamo seriamente tra l’incudine e il martello.
Nei giorni in cui a Gerusalemme politici di tutto il mondo commemorano l’olocausto ebraico perpetrato dai nazisti, Israele si trova di fronte a una seria e credibile minaccia di un nuovo olocausto. E questa volta vorrebbe prevenirlo.
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