Secondo il Washington Post, che cita anonimi funzionari della CIA, sarebbe stato il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MBS) a ordinare l’omicidio di Jamal Khashoggi.

Secondo l’articolo a firma Shane Harris, Greg Miller e Josh Dawsey, la CIA avrebbe trovato un collegamento diretto tra l’omicidio del politico e giornalista saudita e Mohammed bin Salman, collegamento che sarebbe riconducibile oltre che a diverse fonti non ben specificate anche ad una telefonata intercorsa tra il Principe Khalid bin Salman, fratello di MBS e ambasciatore saudita negli Stati Uniti, e Jamal Khashoggi nella quale il fratello di Mohammed bin Salman diceva al giornalista ucciso di recarsi presso il consolato saudita a Istanbul per ritirare i documenti che chiedeva, rassicurandolo sul fatto che sarebbe stato al sicuro.

Il Washington Post spiega però che non è chiaro se Khalid bin Salman fosse a conoscenza che Jamal Khashoggi sarebbe stato poi ucciso.

Cose che non tornano

In questa contorta vicenda ci sono però almeno un paio di cose che non tornano.

  1. La Turchia che inspiegabilmente ottiene registrazioni del presunto interrogatorio di Khashoggi, interrogatorio effettuato all’interno del Consolato saudita di Istanbul, cosa molto difficile da credere a meno di non pensare che la Turchia abbia microfoni all’interno dello stesso consolato saudita o che qualcuno che ha partecipato a quell’interrogatoria ha passato le registrazioni all’intelligence turca.
  2. La CIA che come se niente fosse intercetta una telefonata dell’ambasciatore saudita negli Stati Uniti e poi arriva candidamente ad ammetterlo con il Washington Post.

Sia il consolato saudita a Istanbul che l’ambasciata di Riad a Washington sono due sedi diplomatiche, quindi teoricamente inviolabili. Difficile credere che i turchi possano aver messo microfoni nel consolato di Istanbul per poi “bruciare” questa risorsa diffondendo le registrazioni. Ancora più difficile da credere che la CIA potesse tenere sotto controllo il telefono dell’ambasciatore saudita negli USA e poi ammetterlo tramite “anonimi funzionari” con il Washington Post.

Tante supposizioni, voci anonime ma nessuna prova

Solo pochi giorni fa un altro grande giornale americano, il New York Times, usciva con una storia secondo la quale alti funzionari sauditi molto vicini a Mohammed bin Salman avrebbero cercato di convincere una non ben specificata lobby d’affari ad uccidere Jamal Khashoggi, una storia però fatta di sentito dire e supposizioni senza un briciolo di prove. Adesso il Washington Post spara in prima pagina un’altra parte della storia, anche questa però senza alcuna prova certa, fatta da spifferate anonime e addirittura una ammissione che diplomaticamente è un vero e proprio suicidio. Se fosse vero infatti che la CIA controlla il telefono dell’ambasciatore saudita negli USA, cosa anche verosimile sotto certi aspetti, ammetterlo sarebbe una fatto gravissimo. Ed è sinceramente poco credibile che un funzionario CIA abbia raccontato queste cose a un giornale.

Si vogliono rovinare le relazioni tra Washington e Riad

L’unica cosa veramente certa è che si è messa in piedi una enorme operazione mediatica chiaramente volta a mettere in difficoltà la politica della Casa Bianca nei confronti dell’Arabia Saudita, una politica che, va ricordato, ha messo in discussione tutta la politica in Medio Oriente, che ha posto in secondo piano la cosiddetta “causa palestinese” e ha spinto gli arabi a identificare nell’Iran il loro vero nemico e non più in Israele com’era avvenuto negli ultimi 70 anni.

C’è una puzza di complotto così forte in tutta questa vicenda che si sente lontano un miglio. Lo dico da non estimatore del regime saudita ma da persona pragmatica che preferisce l’attuale corso della politica estera americana rispetto a quella filo-iraniana di Obama. E questo a prescindere dalla certezza che ad uccidere Jamal Khashoggi siano stati effettivamente agenti del regime saudita, cosa ormai più che appurata.

Ma l’attenzione mediatica dedicata a questo caso (chi conosceva Jamal Khashoggi prima di questa vicenda?), la corsa a trovare collegamenti tra l’omicidio e il principe ereditario saudita, il modo con il quale la Turchia (e quindi la Fratellanza Musulmana) e l’Iran cercano di cavalcare questa disastrosa operazione della intelligence saudita, lasciano pensare che il vero obiettivo non sia affatto scoprire la verità ma mettere in discussione la politica del Presidente Trump in Medio Oriente.