La guerra di Hamas in West Bank. Lupi solitari e “pacifisti” stranieri (report)

25 Marzo 2015

La stampa internazionale non ne parla ma nelle prime settimane di marzo c’è stato un vero e proprio stillicidio di attacchi palestinesi in West Bank e anche in Israele. Sulle prime pagine dei giornali finiscono solo gli attacchi mortali, gli investimenti di pedoni e gli accoltellamenti da parte di arabi verso cittadini israeliani, ma la situazione è molto più grave.

I giovani palestinesi sembrano aver recepito con entusiasmo l’invito lanciato da Hamas a Gennaio quando chiedeva di intensificare gli attacchi contro gli israeliani. Nella sola prima settimana di marzo c’è stato un attacco armato contro un insediamento israeliano, colpi di arma da fuoco sono stati sparati contro un jeep dell’esercito israeliano nei pressi di Nablus, lapidi ebraiche sono state profanate sul Monte degli Ulivi, centinaia i casi di lancio di sassi contro automobili israeliane che hanno provocato, secondo i dati della motorizzazione israeliana, 139 incidenti e oltre 60 feriti tra i quali una ventina di bambini. Un ragazzino palestinese è stato fermato dalla polizia di frontiera israeliana con addosso un coltello. Il ragazzino ha ammesso che la sua intenzione era quella di accoltellare quanti più israeliani poteva. E potremmo continuare a lungo.

Lupi solitari o organizzazione capillare?

Di primo acchito si potrebbe pensare che tutto questo sia opera di lupi solitari o di piccoli gruppi improvvisati. Ed era quello che pensavano le autorità israeliane fino a poco tempo fa. In realtà una recente indagine dello Shin Bet ha evidenziato che tutti questi avvenimenti sono meno scollegati di quanto si pensi, cioè ha sfatato l’idea che la cosiddetta “intifada 2.1” non avesse alle spalle un coordinamento ma che fosse qualcosa di improvvisato. In realtà dietro a questo stillicidio di attacchi c’è una regia e un coordinamento ben preciso che parte dai vertici di Hamas e arriva fino ai tanti “attivisti” pro-Hamas presenti in West Bank per finire sui social media dove lo Shin Bet ha individuato oltre 1.300 pagine di “attivisti” che non solo fomentano l’odio anti-ebraico ma che coordinano in vario modo gli attacchi. Insomma, ci troviamo di fronte a qualcosa di assolutamente inaspettato e pericoloso con un coordinamento che non appare come tale ma che, anzi, fa pensare alla improvvisazione come arma, quando invece è tutto (o quasi) perfettamente coordinato per eludere sia la sorveglianza israeliana che quella della ANP nei territori sotto il loro controllo.

La campagna di odio coordinata con i “pacifisti” stranieri

Una delle armi che Hamas ha sempre adoperato a suo favore è quella rappresentata dai cosiddetti “pacifisti”, personaggi stranieri che si spacciano per cooperati o attivisti dei Diritti Umani che operano coperti dalla loro nazionalità nei territori palestinesi e a Gaza. Di recente l’utilizzo di questi personaggi, tutt’altro che pacifici, si è evoluto diventando endemico nella West Bank e debordando sui social media. Oggi Hamas non vuole più gli attivisti stranieri a Gaza, li vuole nella West Bank, dove cioè con la loro intensa propaganda possono fare veramente grossi danni soprattutto alla Autorità Nazionale Palestinese. Un recente studio condotto da Jacob Shamir and Khalil Shikaki per la Indiana University ha rivelato come da quando Hamas ha messo in pratica questa tecnica in coordinamento con i “pacifisti” la percentuale dei palestinesi che non vuole uno Stato palestinese separato da Israele ma chiede la distruzione di Israele è salita vertiginosamente arrivando al 79% nel mese di marzo mentre era del 42% a fine anno. Lo stesso studio rivela come oggi la maggioranza dei palestinesi non sia affatto interessata a un lavoro o a migliorare la propria condizione socio-economica ma che grazie alla costante propaganda messa in atto in maniera capillare da questi veri e propri collaboratori dei terroristi, pensa solo a come fare per attaccare Israele.

Le misure insufficienti della ANP

La ANP sta cercando in vario modo di arginare questa offensiva silenziosa di Hamas. Negli ultimi tre mesi ha arrestato circa 200 persone legate a vario titolo ad Hamas ma con i “pacifisti” stranieri può fare poco. Un funzionario della sicurezza israeliana ci ha riferito che loro segnalano alla ANP le persone che ritengono pericolose per la stessa Autorità Palestinese, ma che la polizia palestinese fatica parecchio ad agire contro questi elementi in quanto coperti dalla loro nazionalità. In sostanza non può provvedere al loro arresto. Facciamo notare che però potrebbe espellere gli elementi di disturbo e che ne avrebbe l’autorità. Al che il funzionario israeliano ha allargato le braccia come a dire che non lo fanno anche se potrebbero. Probabilmente non vogliono problemi diplomatici con gli Stati di appartenenza dei “pacifisti”. L’unica cosa che la polizia palestinese potrebbe fare è quella di arrestare i loro collaboratori palestinesi ma anche in questo caso non sempre lo fa.

Quale soluzione?

Con un quadro della situazione così difficile e proprio mentre le autorità israeliane lanciano un serio allarme per una possibile ondata di violenza in Cisgiordania, si fa sempre più urgente la necessità di tagliare il cordone ombelicale che lega Hamas a questi veri e propri fomentatori di odio travestiti da “pacifisti”, questi collaboratori dei terroristi. Difficile trovare una soluzione senza coinvolgere i loro Stati di appartenenza. Occorre quindi, prima di tutto, fare in modo che gli organi di sicurezza degli Stati di appartenenza dei “pacifisti” vengano informati delle attività svolte dai loro concittadini nella West Bank. Quasi tutti gli Stati occidentali hanno nella loro legislazione un articolo che punisce la collaborazione con gruppi o elementi terroristici. Usare quindi quegli articoli per denunciare presso le autorità competenti coloro che operano in collaborazione con i terroristi di Hamas o che fomentano il terrorismo. Partendo da questo chiedere quindi che siano gli stessi Stati di appartenenza a chiedere alla ANP l’espulsione dei loro connazionali dalla West Bank. A quel punto difficilmente l’Autorità Palestinese potrà rifiutarsi. Ma questo è solo un primo passo. Nei prossimi giorni in collaborazione con le autorità israeliane e con alcune associazioni stileremo una tabella di marcia che ci permetta in breve tempo di portare all’attenzione degli Stati e delle Istituzioni europee questo fenomeno che sta letteralmente facendo sparire ogni possibilità di pace tra Israele e palestinesi. Non sarà cosa facile ma non è più possibile chiudere gli occhi di fronte a questo vero e proprio fenomeno terroristico.

[glyphicon type=”user”] Scritto da Noemi Cabitza

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