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Non toccate i soldi degli Ayatollah. Ecco i “patrioti” iraniani

27 Giugno 2021 by Franco Londei

Uno pensa ai colloqui in corso a Vienna sul nucleare iraniano e immagina una specie di partita a scacchi dove il meglio della diplomazia internazionale si confronta sull’arricchimento dell’uranio, sul programma balistico di Teheran e su cose simili.

E invece no, a bloccare i colloqui di Vienna per un (in)possibile ritorno al JCPOA è solo una mera questione di soldi.

E si, perché nonostante quello che si dice in giro, gli iraniani non iniziano nemmeno a trattare se prima non vengono tolte le sanzioni alle società che fanno capo al Grande Ayatollah, Ali Khamenei, e all’intero gruppo dirigente iraniano.

In particolare, le più dolorose per le tasche del “patriota” Khamenei, quelle imposte dall’ex Presidente Donald Trump che riguardano la “fondazione” Bonyad Mostazafan che fa capo proprio al leader supremo iraniano.

Bonyad Mostazafan ufficialmente dovrebbe essere una fondazione benefica che attinge al denaro pubblico per opere di carità e assistenza.

In realtà è la copertura di almeno 160 società sussidiarie impegnate in diversi settori che finiscono per generare miliardi (esatto, miliardi) di utili che finiscono nelle tasche del “povero” Ayatollah e di suo figlio, l’altrettanto “povero” Ayatollah Mojtaba Khamenei (prossimo leader supremo).

Mojtaba Khamenei, figlio del Grande Ayatollah Ali Khamenei

Altre sanzioni imposte da Trump hanno colpito poi alcuni dei principali leader dei Guardiani della Rivoluzione, anche quelle sul piatto delle “trattative” sul ripristino del JCPOA.

Come detto, si tratta di miliardi di dollari ai quali gli Ayatollah non hanno più accesso e che erano destinati in parte a finire nei loro conti personali e in parte a finanziare il terrorismo islamico di matrice sciita.

BRUTTE NOTIZIE PER KHAMENEI

Il Segretario di Stato americano, Antony Blinken

La brutta notizia (per Khamenei) è che a prescindere da quello che la diplomazia americana concederà nelle trattative di Vienna sperando di fermare la corsa alla bomba dell’Iran (che non si fermerà), c’è sempre quella legge del 2015 nota come Iran Nuclear Agreement Review Act che permette al Congresso di bloccare tutto.

È quello che ha fatto notare il Membro repubblicano della Camera dei Rappresentanti per lo stato del Texas, Mike McCaul, in una lettera firmata da altri 21 membri del suo partito inviata al Segretario di Stato Antony Blinken.

Nello specifico, l’Iran Nuclear Agreement Review Act del 2015 (“INARA”) è stato emanato con un forte sostegno bipartisan per garantire la supervisione del Congresso sulla politica statunitense in merito al programma nucleare iraniano.

Tale legge richiede che il presidente presenti al Congresso entro cinque giorni qualsiasi accordo nucleare raggiunto con l’Iran, nonché un dettagliato rapporto di valutazione e certificazione di verifica.

Quello che vogliono dire i repubblicani a Blinken (e a Biden) è che è quindi impossibile riprendere il rispetto reciproco del JCPOA come scritto e considerato dal Congresso sei anni fa come se fosse la continuazione dello stesso accordo.

Gli Stati Uniti si sono ritirati dal JCPOA più di tre anni fa, nel maggio 2018. Nel frattempo il programma nucleare iraniano è andato “al galoppo”, con numerose violazioni delle limitazioni imposte dal JCPOA.

Poi c’è da considerare che secondo i rapporti dell’AIEA, le scorte di uranio arricchito dell’Iran sono circa 16 volte oltre il limite consentito e l’Iran ha iniziato ad arricchire l’uranio fino al 60% di purezza nell’aprile 2021.

Tutte queste violazioni renderanno impossibile che il Congresso approvi qualsiasi tipo di accordo e quindi che tolga anche l’ostacolo principale, cioè il blocco del denaro dell’Ayatollah Ali Khamenei e del figlio Mojtaba Khamenei.

Archiviato in:Editoriali Contrassegnato con: ali khamenei, denaro degli ayatollah, iran, jcpoa

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