Era il Maggio del 2003 quando l’allora vice-capo del Mossad, Tamir Pardo, convocò la leadership dell’agenzia e della difesa per esporre un piano che secondo lui avrebbe potuto rallentare notevolmente il programma nucleare iraniano.
«Il presupposto di partenza è che uno stato tecnologicamente avanzato, ricco e con molte risorse come l’Iran, che cerca di ottenere una bomba atomica, prima o poi riuscirà a farlo» esordisce Tamir Pardo.
«In altre parole, un arresto immediato del progetto può essere solo il risultato di un cambiamento di opinione o di un cambiamento nell’identità del livello politico in Iran» continuò il braccio destro del mitico direttore del Mossad di allora, Meir Dagan.
Nella stanza si sentirono sospiri e mormorii annoiati, Pardo stava dicendo cose risapute e piuttosto ovvie.
Ma Tamir Pardo non si perse d’animo e continuò. «In questa situazione, Israele ha tre opzioni. Uno: conquistare l’Iran. La seconda: provocare un cambiamento nel regime in Iran. La terza: convincere l’attuale leadership politica che il prezzo che pagheranno per continuare il progetto nucleare è maggiore di quello che possono guadagnare fermandolo».
Poiché la prima e la seconda opzione erano (e lo sono anche ora) irrealizzabili rimaneva (e rimane) la terza, cioè intraprendere una azione segreta che avrebbe esercitato così tanta pressione sugli Ayatollah che alla fine avrebbero deciso di rinunciare.
Allora partì un piano su cinque fasi che, tra le altre cose, prevedeva l’eliminazione di diversi scienziati iraniani che lavoravano al programma nucleare, sanzioni economiche, sabotaggi ecc. ecc.
Un piano che però per riuscire aveva bisogno della piena collaborazione degli Stati Uniti i quali inizialmente collaborarono (il virus Stuxnet che rallentò enormemente il programma iraniano era creato in collaborazione con la CIA), ma all’ennesima uccisione di uno scienziato iraniano decisero di tirarsi indietro (Amministrazione George W. Bush).
Le uccisioni degli scienziati iraniani tuttavia proseguirono almeno fino al 2012 quando dopo l’uccisione di Mostafa Ahmadi Roshan, esperto di arricchimento dell’uranio, vicedirettore dell’impianto di Natanz e appena fotografato con Mohamed Ahmadinejad (all’epoca Presidente dell’Iran), Barack Obama intervenne molto duramente nei confronti di Gerusalemme affinché interrompesse la catena di uccisioni.
Poi nel 2015 arrivò il JCPOA, l’accordo sul nucleare iraniano, e il piano studiato da Tamir Pardo venne accantonato anche se alcune parti del piano proseguirono sottotraccia.
Il piano venne in parte recuperato quando alla Casa Bianca salì Donald Trump il quale una delle prime cose che fece fu uscire dal disastroso JCPOA.
Da allora Israele ha aumentato nuovamente e in maniera esponenziale la pressione sulla leadership iraniana, tuttavia senza fare quel salto di qualità che costringesse gli Ayatollah a fare due conti in tasca.
La svolta sembrava essere arrivata con l’uccisione da parte degli americani di Qassem Soleimani, svolta perché sembrava che si volesse passare dagli scienziati ai leader della Guardia Rivoluzionaria.
Infatti negli ultimi mesi sono stati almeno quattro i generali della Guardia Rivoluzionaria e della Forza Quds morti “misteriosamente” o palesemente uccisi.
Solo che la nuova Amministrazione americana a guida Joe Biden non sembra nuovamente gradire i piani israeliani in quanto potrebbero minare i tentativi di riattivare il disastroso JCPOA, e siano nuovamente punto a capo.
Ora Israele si trova nuovamente in quella posizione che enunciò Tamir Pardo nel 2003 e ha le stesse tre possibilità davanti a se, con la differenza non da poco che Teheran è a un passo dalla bomba atomica.
Con l’ostilità quasi manifesta della Casa Bianca (oggi ha messo becco anche sugli insediamenti) Gerusalemme non ha molte possibilità di scelta, escludendo anche la possibilità del bombardamento delle centrali iraniane senza le bombe anti-bunker e gli aerei per trasportarle.
Rimane quindi il vecchio e caro piano di Tamir Pardo con la differenza che oltre agli scienziati si dovrebbero mettere nel mirino tutti gli alti ufficiali delle Guardie della Rivoluzione e infine, perché no, anche qualche politico di rango e colpire veramente senza pietà.
Insomma, gli iraniani devono temere costantemente per le loro vite e valutare se vale la pena continuare con il programma nucleare oppure si vivrebbe meglio senza.
Difficilmente gli Ayatollah rinunceranno alla bomba atomica, ma in mancanza di alternative l’unica cosa che si può fare è rallentarli e convincerli che il prezzo dell’atomica sarà altissimo.