Di Cornelius Adebahr – Il 16 settembre ricorre un anno dalla morte di Mahsa Jina Amini avvenuta in custodia di polizia, che ha scatenato la rivolta “Donna, Vita, Libertà” in Iran.
Quello che è stato un forte shock per il sistema della Repubblica islamica, finora ha portato soprattutto a una maggiore e più diffusa repressione all’interno del Paese: Centinaia di persone sono state uccise nelle strade, nelle prigioni o dalla forca e fino a 20.000 persone sono state arrestate nel corso dei mesi di rivolta.
Anche se questo primo anniversario avrà una certa risonanza sui media occidentali, non è l’elemento più decisivo per gli sviluppi in Iran e dintorni. Il fatto che il Paese sia diventato una sfida globale richiede invece un ripensamento complessivo della politica dell’UE. Ecco perché il prossimo anno sarà cruciale non solo per le relazioni UE-Iran, ma anche per il ruolo più ampio dell’Europa.
In primo luogo, il processo a lungo termine in corso in Iran è quello del consolidamento del regime in vista di una necessaria successione alla leadership.
Con l’elezione programmata di un presidente della linea dura nel 2021, la Guida Suprema Ali Khamenei si è prefissata di stabilizzare il sistema in vista del periodo successivo alla sua eventuale morte. Al potere da trentaquattro anni, compirà ottantacinque anni la prossima primavera, poco dopo il quarantacinquesimo anniversario della Repubblica Islamica. E sebbene si dica che sia malato, continua a sorprendere gli osservatori esterni con apparizioni pubbliche stabili.
La sua risposta alla rivolta è stata una massiccia repressione, che ha lasciato il regime più radicato di prima e ha lasciato poco spazio all’approccio diplomatico e di dialogo preferito dall’Europa.
Inoltre, la leadership dell’Europa sul Piano d’azione congiunto globale del 2015, noto anche come accordo nucleare o JCPOA, sta venendo meno. Poiché l’UE e i suoi membri più potenti non sono stati in grado di sostenere efficacemente il patto quando l’amministrazione statunitense se ne è allontanata nel 2018, hanno perso qualsiasi rilevanza agli occhi dei funzionari iraniani.
Attualmente, i colloqui per stabilire se e come l’accordo possa essere rinnovato sono condotti da Washington e Teheran, le due parti che non lo rispettano più. Essi includono questioni bilaterali come lo scambio di prigionieri e lo sblocco dei fondi, eludendo così il ruolo dell’UE come custode dell’accordo imposto dalle Nazioni Unite.
Con l’embargo sulle armi imposto dall’ONU all’Iran che scadrà a ottobre secondo i termini dell’accordo, tutto ciò che gli europei possono fare è mantenere le sanzioni ONU, data la non conformità dell’Iran e la sua crescente intransigenza sulle ispezioni nucleari.
Più importante, va detto poi che il sostegno di Teheran alla guerra della Russia contro l’Ucraina rappresenta una minaccia diretta alla sicurezza europea, alterando fondamentalmente le relazioni del continente con l’Iran. Oltre a sostenere l’Ucraina e a sanzionare le aziende iraniane di droni e gli elementi del settore della sicurezza, l’UE deve fare i conti con la crescente alleanza dell’Iran con la Russia. Oltre alla cooperazione militare, i due Paesi collaborano anche nell’elusione delle sanzioni, sia sugli idrocarburi che sulle transazioni finanziarie, uniti dal desiderio di contrastare il dominio globale dell’America.
Questi sviluppi, a loro volta, rendono Teheran una parte centrale del riallineamento globale in corso, incentrato sulla Cina: Solo negli ultimi sei mesi, l’Iran ha negoziato un’alleanza con l’Arabia Saudita con l’aiuto di Pechino, si è unito all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, guidata dalla Cina, e proprio di recente ha ricevuto l’invito a far parte del gruppo di nazioni BRICS.
L’Iran, a lungo orgoglioso della sua posizione unica tra Oriente e Occidente, sia dal punto di vista geografico che politico, sembra ora aver scelto da che parte stare. Se l’accordo nucleare del 2015 rappresentava un’opportunità per l’Iran di aprirsi all’Europa e, forse, agli Stati Uniti, otto anni dopo è chiaramente orientato verso l’Oriente – o, piuttosto, il non Occidente.
Il modo in cui trattare con l’Iran, quindi, non è più solo una questione di non proliferazione nucleare, diritti umani o legami commerciali. Si tratta piuttosto del modo in cui l’UE vede se stessa nel mezzo di un panorama globale in evoluzione.
I prossimi dodici mesi saranno decisivi non solo per le relazioni UE-Iran, ma anche per il ruolo globale dell’Europa. Ecco cosa dovrebbe fare l’UE.
La rivolta di Jina Amini si è per ora placata, ma i disordini rimangono ancora vivi. Ciò è particolarmente vero per le regioni periferiche del Paese, come il Kurdistan e il Baluchistan, che hanno visto un numero sproporzionato di arresti arbitrari e di morti. A causa dell’enorme grado di esclusione e securizzazione, le proteste di massa possono riaccendersi in qualsiasi momento. L’UE deve quindi trarre le giuste conclusioni dall’anno appena trascorso per rispondere meglio a eventuali incidenti futuri, anche nel caso in cui la prossima rivolta non sia guidata da donne e di natura femminista. Bruxelles dovrebbe stabilire un processo che indichi come agire in contesti repressivi e mantenere stretti legami con la società civile e le organizzazioni per i diritti umani per monitorare la situazione in Iran.
Più in generale, l’UE deve definire un approccio all’Iran come parte di una nuova costellazione geopolitica. La Repubblica islamica non vuole più lavorare con l’Europa, ma piuttosto contro di essa, e si preoccupa degli Stati Uniti solo per la proiezione di potenza globale di questi ultimi. Tuttavia, in modo un po’ controintuitivo, pur accettando un peggioramento delle relazioni bilaterali, l’UE dovrebbe cercare di individuare aree di potenziale cooperazione, ad esempio in materia di clima, migrazione e salute pubblica: non per ingenuità, ma in modo deciso e guidato dagli interessi, per fornire un’apertura alla società iraniana e per un possibile futuro riavvicinamento.
Un approccio di questo tipo metterà a volte l’Europa in contrasto con gli Stati Uniti. Tuttavia, l’elaborazione di strategie diverse per affrontare determinate questioni non deve necessariamente minare la loro alleanza. Proprio perché il futuro ordine mondiale è in via di formazione, è necessario un contributo tangibile da parte degli europei se si vuole che il partenariato transatlantico prosperi. Una politica aggiornata nei confronti dell’Iran è un buon punto di partenza.
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