Occupazione dei territori contesi o liberazione? Nei giorni scorsi si è celebrato in Israele il 50esimo anniversario della guerra dei sei giorni, il conflitto cioè che ha cambiato il volto del Medio Oriente e che ha allontanato probabilmente per sempre il rischio della distruzione dello Stato Ebraico pianificato dagli arabi. Per alcuni è stato l’inizio della occupazione israeliana dei territori contesi, per molti altri (compresi moltissimi arabi) è stato l’inizio della liberazione.
Al di la del fatto che la si chiami occupazione o liberazione, la presenza israeliana nei territori contesi non è mai stata così necessaria come lo è ora. Questo per alcuni semplici ma fondamentali motivi, primo tra tutti la sicurezza dei cittadini (non solo israeliani) in un momento in cui in un Medio Oriente in fiamme l’unico angolo di pace e democrazia è rappresentato da Israele. Solo Israele è in grado di garantire la sicurezza di quei territori ed evitare che cadano in mano a formazioni jihadiste. Non ci sono alternative valide alla presenza dell’esercito israeliano, a meno di non pensare che Hamas, Hezbollah o ISIS siano alternative valide alla presenza militare israeliana nei territori contesi.
Il secondo e forse più importante motivo è proprio quello legato alla mancanza di alternative proposte dagli arabi e dal cosiddetto “mondo civile”. Si continua da più parti a chiedere due stati per due popoli con il conseguente ritiro di Israele dai territori occupati/liberati in Cisgiordania e nel Golan, ma in cambio si offrono solo ipotesi di pace sulla carta quando invece un ritiro delle forze di difesa israeliana da quei territori offrirebbe l’opportunità a gruppi terroristi come Hamas, Hezbollah e ISIS di sostituirsi ai militari israeliani. Quanto successo nella Striscia di Gaza occupata da Hamas a seguito del ritiro israeliano è l’esempio più eclatante su cosa succederebbe nel caso di abbandono dei territori contesi da parte di Israele.
In 50 anni gli arabi non hanno offerto alcuna alternativa valida alla occupazione, niente che possa garantire che i territori contesi eventualmente abbandonati non finiscano in mano ai terroristi. Anzi, persino coloro che dovrebbero rappresentare l’alternativa moderata e democratica ai terroristi islamici, come l’Autorità Palestinese, continuano imperterriti a fomentare odio e violenza, a pagare i terroristi come se fossero dipendenti statali e ad augurarsi la distruzione di Israele.
La proposta araba ed europea è che Israele si ritiri entro i confini del 1967. Punto. Nessuna garanzia che dopo il ritiro non succeda quello che è successo a Gaza, nessuna garanzia sulla sicurezza dello Stato Ebraico. In tutto questo tempo gli arabi non hanno saputo offrire di meglio e questo dopo che hanno rifiutato il piano di spartizione del 1947 e ogni altra alternativa offerta loro. Ora, come se non fosse successo niente, ci dicono che vorrebbero quello stesso piano di spartizione rifiutato nel 47. Non funziona così. Non è così semplice.
Mancano alternative valide alla occupazione dei territori contesi (e sottolineo contesi perché i termini hanno la loro importanza). Se si parla di “contesa” su un territorio se ne evince che ci sia un dibattito tra le parti, un negoziato. Invece gli arabi, cioè coloro che dopo aver attaccato Israele con l’obiettivo dichiarato di distruggerlo hanno perso malamente tutte le guerre, vorrebbero resettare tutto e tornare al 1967 senza però trattare su nulla con Israele. E’ come se i nazisti dopo aver perso la seconda guerra mondiale avessero preteso di imporre le loro condizioni agli alleati.
Dove sono le proposte arabe? Cosa offrono gli arabi in cambio dei territori contesi e di un loro Stato denominato Palestina? Quali alternative offrono alla occupazione dei territori contesi? Sono queste le domande che il cosiddetto “mondo civile” si dovrebbe porre invece di andare in giro a cinciare di ritiro incondizionato entro i confini del 1967, cioè ante guerra dei sei giorni.
Fino a quando gli arabi non proporranno una valida alternativa alla occupazione dei territori contesi Israele non si potrà ritirare. C’è poco da discutere. Non volete l’occupazione? Trovate una alternativa.
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