Medio Oriente: per fermare l’Iran ci vogliono leoni, non gattini

2 Gennaio 2020

Fermare l’Iran prima che la sua politica espansionista si concretizzi efficacemente. Dovrebbe essere questo uno dei punti focali della politica in Medio Oriente (l’altro è fermare la Turchia).

Fino ad oggi abbiamo visto due tipi di approccio al problema: quello del leone e quello del gattino. Da un lato c’è Israele che colpisce gli iraniani ogni volta che cercano di organizzarsi per colpire lo Stato Ebraico. Che sia in Siria, in Libano o in Iraq, gli israeliani non perdonano nulla e colpiscono prima che si concretizzi una minaccia.

Dall’altra abbiamo tutto il resto del mondo, compresi gli Stati Uniti, che invece preferiscono altre strade che vanno dalla accondiscendenza europea fino alle (quasi) devastanti sanzioni americane.

In particolare gli americani si sono decisi a rispondere “da leoni” solo negli ultimi giorni con un raid sulle basi delle milizie filo-iraniane in Iraq dopo che un attacco di delle milizie Kata’ib Hizbollah (KH), appoggiate e armate dall’Iran, aveva provocato la morte di un contractor americano.

Ma fino a quel momento gli americani non avevano reagito né all’abbattimento di un loro drone, né agli attacchi ad alcune petroliere e neppure di fronte ad un massiccio attacco missilistico contro l’Arabia Saudita.

Fino a pochi giorni fa il Presidente Trump era convinto che si potesse piegare l’Iran solo con le sanzioni e così, per evitare una escalation, ha evitato di rispondere adeguatamente alle provocazioni iraniane.

Poi evidentemente qualcosa deve essere scattato nella testa del Presidente americano e quando le milizie filo-iraniane hanno attaccato la base di Kirkuk ha fatto (finalmente) scattare la rappresaglia. Meglio tardi che mai.

Ora si ritrova con l’ambasciata americana a Baghdad circondata da miliziani filo-iraniani che cercano goffamente di mimetizzarsi da “manifestanti iracheni”, ma che nulla hanno a che fare con quei manifestanti che invece protestano proprio contro le ingerenze iraniane in Iraq.

Tuttavia questa volta il Presidente americano sembra voler assumere la forma del leone. Risponde all’assedio dell’ambasciata inviando più uomini in Iraq, minaccia nuovi raid e, soprattutto, individua nell’Iran il mandante degli attacchi.

«Pagheranno un GRANDE PREZZO! Questo non è un avvertimento, è una minaccia» ha scritto su Twitter il Presidente Trump. E per una volta non sembra bluffare o minacciare a vuoto.

Ormai è chiaro che le sanzioni americane non hanno nessun effetto sui progetti iraniani. Gli unici a pagare il regime sanzionatorio sono solo i poveracci, ma né i Guardiani della Rivoluzione Islamica (i più pericolosi) né gli Ayatollah sembrano risentirne.

Gli unici che ancora si comportano da gattini sono purtroppo gli europei. Non dicono una parola di condanna sulle durissime repressioni delle manifestazioni in Iran. Anzi, mentre gli Ayatollah massacrano il loro popolo, cercano di aggirare le sanzioni americane per aiutare gli assassini iraniani. Una bestialità.

Non serve essere esperti di geopolitica per vedere quello che sta facendo l’Iran in Medio Oriente. Non serve essere esperti di strategia militare per vedere come Teheran usa le tante milizie filo-iraniane per prendere letteralmente il controllo di interi Stati. Avviene in Libano, in Iraq e in Siria.

Quello che serve è decidere una volta per tutte se lasciarli fare oppure fermarli. Se comportarsi da leoni o da gattini.

Franco Londei

Esperto di Diritti Umani, Diritto internazionale e cooperazione allo sviluppo. Per molti anni ha seguito gli italiani incarcerati o sequestrati all’estero. Fondatore di Rights Reporter

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