Le ultime ore sono state drammatiche sul fronte nord. Hezbollah ha accelerato vertiginosamente il ritmo dell’escalation passando dalle provocazioni – che durano da mesi – agli sbarramenti missilistici massicci.
Non è un caso. Ieri la guida suprema iraniana, Ali Khamenei, su X esaltava la «vittoria di Hamas sulla occupazione sionista» e annunciava la «fine del regime sionista» visto che in molti davano per scontato un accordo di cessate il fuoco “non temporaneo” tra Hamas e Israele, un accordo che avrebbe voluto dire la sopravvivenza e quindi la vittoria per il gruppo terrorista.
Khamenei ne aveva ben donde di motivi per esultare. Il Presidente americano, Joe Biden, aveva illustrato un accordo che, così come spiegato, appariva veramente come una resa di Israele alla capacità di resistenza di Hamas.
Questa sensazione di essere di fronte ad un momento di forte debolezza dello Stato Ebraico ha spinto i gruppi legati all’Iran, a partire da Hezbollah fino agli Houthi dello Yemen, a lanciare attacchi contro Israele sempre più spregiudicati fino ad arrivare agli sbarramenti missilistici di ieri e l’altro ieri da parte di Hezbollah i quali hanno provocato vasti incendi sul Golan e danni materiali in diverse aree di confine fortunatamente sgomberate ormai da tempo.
La sensazione di resistenza di Hamas che galvanizza i nemici di Israele
Per intenderci, Hamas è stato quasi sterminato ma dall’esterno la sensazione che si ha è quella di un gruppo resiliente, ancora in grado di lanciare attacchi missilistici contro Israele – come avvenuto qualche giorno fa – e comunque in grado di trattare mentre tutto il mondo si scaglia contro Gerusalemme per la “risposta sproporzionata” contro la Striscia d Gaza.
Le decine di manifestazioni anti-israeliane nelle università di tutto il mondo vengono viste come il sostegno della comunità internazionale non ai palestinesi, ma ad Hamas e alle sue idee genocide.
L’insieme di tutto questo mostra agli occhi dei nemici di Israele uno Stato Ebraico “attaccabile”, forse non debole, ma certamente non forte come lo vedevano prima.
Se a questo aggiungiamo le evidenti divisioni interne al Governo di Benjamin Netanyahu e al Paese, i nemici affilano le armi e aumentano le provocazioni.
Il problema Hezbollah non più rinviabile a data da destinarsi
In questo contesto Hezbollah comincia ad alzare il prezzo, comincia cioè a portare le provocazioni su un livello più alto, quello degli attacchi su larga scala.
Hassan Nasrallah sta cedendo alle pressioni dell’Iran e cerca di tastare il polso alla reazione israeliana che fino ad oggi si è limitata a risposte contenute e comunque nella quasi totalità ha colpito obiettivi all’interno della zona a sud della linea blu delimitata dal fiume Litani.
Adesso forse sarebbe il momento giusto di far capire a Nasrallah l’aria che tira e magari fare anche un paio di sorvoli sopra Beirut, quel tanto che basta a mettere in allarme i libanesi e fare in modo che Hezbollah venga richiamato all’ordine.
Ma il vero problema per Israele è che fino a quando Hezbollah sarà presente a sud della linea blu, le comunità di confine non saranno mai al sicuro.
Ora, spetterebbe alla tanto declamata quanto inutile UNIFIL di fare in modo che Hezbollah non sia presente a sud del fiume Litani, ma come sappiamo UNIFIL ha messo i fiori nei cannoni quando si parla di Hezbollah.
Per cui dovrà essere Israele a ricacciare Hezbollah oltre il fiume Litani. L’alternativa è che le comunità di confine rischino un nuovo 7 ottobre provocato da Hezbollah. D’altra parte il piano originale messo in pratica da Hamas in quel giorno maledetto era stato scritto anni fa proprio da Hezbollah e sventato grazie all’operazione Northern Shield. Queste cose ce le dimentichiamo troppo in fretta.
Concludendo, non è il momento per Israele di mostrarsi vulnerabile, anzi, forse è proprio il momento di far capire ad Hezbollah che deve ritirarsi oltre la linea blu, con le buone o con le cattive. Ma soprattutto a Beirut devono capire che una guerra con Israele non riguarderebbe solo il Partito di Dio ma anche tutto il Libano.