La lotta al fondamentalismo islamico rimane (o dovrebbe rimanere) uno dei cardini delle politiche estere e nazionali di ogni democrazia.

Il nazismo islamico è senza dubbio una delle più grandi minacce al mondo libero della storia moderna, anche se non sempre viene percepita come tale, o almeno non da tutti.

Succede infatti che in più di una occasione le cosiddette “democrazie occidentali” siano così attente al business da dimenticare che proprio gli affari con certi regimi islamici finiscano per rafforzarli aumentando il rischio che essi rappresentano per l’occidente.

Se dovessimo chiedere ad un qualsiasi analista (di quelli bravi) di fare una ipotetica classifica dei pericoli derivanti dal fondamentalismo islamico scopriremmo che molti di loro considerano ISIS e Al Qaeda i due pericoli principali per le democrazie occidentali. Poi, a ruota, seguirebbero i talebani e i vari gruppi terroristici collegati a queste due entità come i nigeriani di Boko Haram, i somali di al-Shabaab e via dicendo.

Stranamente in questa classifica non troveremmo gruppi come Hamas ed Hezbollah, forse perché non minacciano l’occidente ma solo Israele. Ma soprattutto non troveremmo i regimi islamici, quelli che per intenderci sono “Stati” ovvero “nazioni islamiche” che secondo moltissimi analisti (sempre quelli bravi) essendo appunto Stati e quindi soggetti alle leggi internazionali, non rappresentano un pericolo né immediato né nel medio-lungo periodo.

Anzi, con una certa sorpresa potremmo scoprire che molti regimi islamici (quali l’Iran) vengono addirittura etichettati come “nemici del terrorismo islamico”. In occasione dell’uccisione del Generale iraniano Qassem Soleimani non sono stati pochi gli analisti che hanno scritto che gli USA avevano ucciso colui che aveva sconfitto ISIS (enorme menzogna) e che combatteva il terrorismo di matrice islamica.

È un po’ paradossale, persino un ossimoro, che si consideri colui che ha rafforzato incredibilmente Hezbollah e che ha creato una infinità di gruppi terroristici in tutto il Medio Oriente per nome e per conto di un regime nazi-islamico come quello di Teheran, alla stregua di una paladino della lotta all’islam integralista. Eppure è così e francamente non ce lo spieghiamo.

Come è paradossale che nessuno degli “analisti di spessore” non veda la parabola che sta facendo la Turchia di Erdogan verso l’estremismo islamico vicino a ISIS e ad Al Qeda, una parabola che sta portando la Turchia addirittura a sostituire i due gruppi terroristici sia materialmente sul terreno che nei cuori degli estremisti islamici.

Invece il rischio turco è enorme, in prospettiva più grande di quello rappresentato dall’Iran.

Prima di tutto Erdogan, a differenza degli Ayatollah, ha un enorme seguito interno.

Mentre il regime iraniano viene contestato sia dall’interno che dall’esterno (vedi le manifestazioni in Iraq e in Libano), quello turco gode di un grande appoggio interno. I turchi sono con Erdogan e sognano il ritorno dell’impero ottomano.

L’unica carta che hanno gli iraniani è quella del nucleare e dell’uso indiscriminato dei suoi proxy terroristici, per il resto non hanno un esercito competitivo, una marina o una aviazione in grado di preoccupare chicchessia.

Al contrario la Turchia ha un esercito formidabile, una aviazione e una marina che grazie alla appartenenza al Patto Atlantico possono godere di tutte (o quasi) le ultime innovazioni tecnologiche in campo militare.

Mentre gli Ayatollah sono unicamente concentrati sulla guerra a Israele, Erdogan ha messo in piedi una politica espansiva molto più complessa che coinvolge non solo il Medio Oriente ma anche l’Africa e l’Europa e non è concentrata unicamente sul fattore militare ma anche su quello meramente politico-religioso. L’inganno della Fratellanza Musulmana portato ai massimi livelli.

E se qualcuno, specie tra i filo-israeliani, pensasse che il pericolo per Israele sia rappresentato solo dall’Iran si sbaglia di grosso. Mentre gli Ayatollah lavorano praticamente apertamente contro Israele, Erdogan lavora più subdolamente, lavora “ai fianchi”.

Ieri ISIS ha annunciato “una nuova fase” dove l’obiettivo principale sarà lo Stato Ebraico. Pensate che sia un caso? Pensate che sia un caso che il nuovo capo di ISIS sia un turkmeno con molti agganci in Turchia?

Nelle prossime settimane avremo modo di vedere come si muoverà la Turchia su due grandi ed importantissimi temi che riguardano molto da vicino Israele: l’accordo di pace americano per il Medio Oriente e, soprattutto, lo sfruttamento dei giacimenti di gas nel Mediterraneo, compreso il progetto di costruire un gasdotto che porti il gas israeliano direttamente in Europa.

Sarà quello il banco di prova che dimostrerà agli “analisti bravi” tutta la pericolosità di Erdogan e del suo piano sul califfato ottomano. E speriamo che qualcuno apra finalmente gli occhi.