L’arresto di un terrorista islamico proveniente dal Gambia e pronto a colpire in Italia riapre un capitolo che troppo spesso è stato messo sotto silenzio, quello del terrorismo islamico proveniente dall’Africa nascosto tra i flussi migratori.
Era il 2016 quando scrivevamo di terrorismo islamico proveniente dall’Africa mettendo in guardia sul fatto che il fenomeno veniva largamente sottovalutato. Lo stesso pensiero lo abbiamo ribadito solo due mesi fa.
L’arresto di un terrorista islamico proveniente dal Gambia e ben nascosto tra i migranti, una minaccia seria e incombente, se da un lato dimostra che le forze dell’ordine italiane sono ben vigili anche su quel versante, dall’altro dimostra come la teoria che i terroristi islamici non arrivano con i flussi migratori è completamente campata in aria. Il rischio c’è eccome.
Senza voler fare di un caso isolato un “casus belli”, la storia di Touray Alagie, 22 anni, richiedente asilo proveniente dal Gambia (che poi ci dovrebbero spiegare come possa uno proveniente dal Gambia, dove non ci sono guerre, chiedere asilo) è lo specchio di tutti i timori espressi in precedenza.
Il piano premeditato e studiato prima della partenza
Touray Alagie non è partito dall’Africa con l’intenzione di trovare una vita migliore in Italia e magari è stato reclutato strada facendo, no, lui è partito con un piano preciso in testa che era quello di compiere un attentato in Italia e, come da lui stesso ammesso, «ammazzare più gente possibile».
Non si tratta quindi di un piano estemporaneo o studiato all’ultimo minuto, al contrario, si tratta di un piano premeditato e studiato a lungo che ha potuto beneficiare di congrui finanziamenti e probabilmente di una rete attiva l’ungo l’asse Africa Occidentale – Libia, quella stessa rete denunciata in passato e che può beneficiare di enormi finanziamenti provenienti dai Paesi arabi del Golfo e dalla Turchia.
E per i motivi di cui sopra non si può parlare nemmeno di “cane sciolto”. Qui siamo di fronte al primo caso provato di un terrorista islamico che usa scientemente e in maniera organizzata i flussi migratori per introdursi in Italia con il solo obiettivo di compiere attentati.
Un campanello d’allarme che non deve essere sottovalutato
Attenzione quindi a sottovalutare l’episodio e a ridurlo a un caso isolato. In Italia c’è la tendenza, anche per ragioni politiche, a minimizzare il problema del terrorismo islamico che usa i flussi migratori come mezzo per infiltrarsi in occidente. Fino ad oggi chiunque si azzardasse ad evidenziare questa possibilità veniva tacciato subito di razzismo e messo alla berlina. Invece il problema c’è, c’è sempre stato, tanto che ci chiediamo quanti Touray Alagie ci siano già in Italia o quanti siano passati per l’Italia per poi recarsi in altri Paesi europei.
Ripetiamo che non è nostra intenzione fare di ogni erba un fascio, tanto meno è nostra intenzione criminalizzare tutti gli immigrati, ma il caso di Touray Alagie deve far riflettere se non altro per aver evidenziato la facilità con la quale un terrorista islamico può entrare in Italia con la copertura della richiesta di asilo politico.
Che poi il problema vada risolto all’origine e soprattutto a sud della Libia è un discorso che abbiamo già affrontato, ma santo cielo smettiamola di evitare di affrontare un problema reale per paura di essere tacciati di razzismo.