Uccisi 40 migranti in Libia. Ora l’Europa faccia la sua parte

3 Luglio 2019

Un attacco aereo ha colpito un centro di detenzione per migranti in Libia uccidendo almeno 40 persone e ferendone non meno di 80.

Il centro di detenzione si trovava nel quartiere di Tajoura, a Tripoli, e le autorità libiche accusano dell’attacco aereo le forze del Generale Khalifa Haftar, che per il momento non ha commentato.

Secondo le Nazioni Unite lungo la linea del fronte ci sarebbero ancora diversi campi con almeno 6.000 migranti al loro interno, 3.000 dei quali fortemente in pericolo in quanto a ridosso di campi militari.

Un portavoce dell’Onu ha denunciato la pratica dei miliziani di costruire campi militari a ridosso dei centri di detenzione per migranti, un fatto questo che di fatto li trasforma in una sorta di scudi umani.

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite la maggioranza dei migranti detenuti nei centri di detenzione sono di nazionalità eritrea, somala, etiope e sudanese e la maggior parte di loro è stata portata in quei centri dopo aver cercato di raggiungere l’Europa, in attesa di essere rimpatriati nonostante provengano da aree che giustificherebbero lo status di rifugiato.

Porto sicuro?

Al di la delle convinzioni politiche di ognuno e della legittima ostilità verso una migrazione senza controllo, continuare a considerare la Libia alla stregua di un porto sicuro è davvero fuori da ogni concetto di Diritto internazionale e di semplice umanità.

Per di più è ormai palese che nei centri di detenzione libici vi sono rinchiusi veramente gli ultimi della terra, coloro cioè che persa l’opportunità di fuggire dalla Libia non hanno altre risorse da dare ai trafficanti di esseri umani. Come detto, si tratta per lo più di veri rifugiati e non di migranti economici.

Questo pone l’Europa di fronte a un serio interrogativo su come attivare canali sicuri per mettere in salvo queste persone e su come attuare un piano di redistribuzione dei richiedenti asilo.

La situazione in Libia non permette più di girarsi dall’altra parte, almeno per quanto riguarda i rifugiati veri.

Solo che la gestione di un eventuale piano di salvataggio di queste persone non può essere lasciato completamente nella responsabilità italiana. È ora che l’Europa tutta faccia la sua parte.

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